Simone Sello presenta il brano ‘Grey horse’s standpoint’ che anticipa l’album in uscita
‘Grey horse’s standpoint‘ è il nuovo singolo di Simone Sello, un brano caratterizzato da una melodia meditativa ed evocativa che si sviluppa attraverso tre elementi sonori distinti: il fischio, la chitarra slide e il canto lirico. Il fischio, eseguito magistralmente da Alex Alessandroni Jr, introduce l’ascoltatore in un’atmosfera sospesa e suggestiva, mentre la chitarra slide aggiunge profondità e calore alla melodia. Il canto lirico crea atmosfere ampie e sospese, trasportando l’ascoltatore in un mondo sonoro unico. Il tempo lento richiama immagini dei Western classici, arricchite da una dimensione surreale e fantascientifica, creando un’esperienza sonora immersiva e suggestiva. La combinazione di questi elementi crea un’atmosfera emotiva e coinvolgente, perfetta per chi cerca una musica che stimoli l’immaginazione e la riflessione. Sento Simone per farmi raccontare il suo nuovo singolo e qual è il suo modo di fare musica in un lavoro intenso che parte dall’Italia e arriva negli Stati Uniti d’America.
Ciao Simone, come stai? Cosa vuoi trasmettere a chi ascolta “Grey Horse’s Standpoint”?
«“Grey Horse’s Standpoint” nasce da un’immagine quasi onirica: un cavallo grigio nel deserto che osserva passare delle astronavi. È una metafora, ma anche un piccolo film mentale. Vorrei che chi ascolta entrasse in quello spazio sospeso tra realtà e sogno, dove il tempo si dilata e tutto diventa simbolico. È una riflessione sul cambiamento e sulla capacità di restare se stessi, anche quando il mondo intorno sembra trasformarsi in qualcosa di surreale».
“Grey Horse’s Standpoint” evoca immagini e suoni di un tempo lontano, da Sergio Leone, Claudia Cardinale ed Ennio Morricone. Che importanza ha per te quella filmografia?
«Enorme. Il cinema di Sergio Leone e la musica di Morricone hanno insegnato a intere generazioni che le emozioni possono essere raccontate anche senza parole. Quei film erano sinfonie visive: il tempo, il silenzio, il vento, lo sguardo, tutto era musica. Io cerco di riprendere quello spirito e proiettarlo in una dimensione più moderna, quasi futurista, dove il linguaggio sonoro diventa un ponte tra passato e immaginazione».
Hai collaborato e suonato per i più grandi, da Renato Zero al mitico Vasco Rossi.
«Sì, sono tutte esperienze che mi hanno formato tantissimo. Con Renato Zero ho imparato il valore della teatralità, con Vasco l’essenzialità del messaggio. Entrambi hanno una forza comunicativa incredibile. Ma ogni collaborazione, anche con artisti internazionali come Billy Sheehan o progetti Disney, mi ha insegnato qualcosa di diverso, soprattutto l’importanza di restare curiosi e di non smettere mai di imparare».
Qual è la differenza nel modo di fare musica in Italia e in America?
«In Italia c’è una grandissima attenzione alla melodia e all’emozione immediata, mentre negli Stati Uniti prevale l’approccio tecnico, produttivo e talvolta sperimentale. In America c’è una mentalità più “industriale”, ma anche più aperta al rischio. Io cerco di fondere entrambe le visioni: la sensibilità italiana con la libertà americana».
Cosa ti manca dell’Italia? Cosa ti ha portato a vivere negli Stati Uniti d’America?
«Per fortuna torno spesso in Italia, quindi cerco di prendere il meglio da entrambi i Paesi… Comunque diciamo che in Italia ancora si può trovare un senso di bellezza e leggerezza nelle piccole cose, il che non si applica facilmente ad altre nazioni. Ma ho scelto di vivere a Los Angeles perché è un crocevia di culture, dove la creatività è una lingua comune. È un posto dove tutto può succedere, e dove le idee forse hanno un po’ più spazio per crescere, anche quelle più folli».
Che ruolo ha oggi per te la musica?
«La musica è il mio centro di gravità. È il modo in cui riesco a mettere in ordine il mondo, ma anche a perdermici dentro. Oggi la vedo come un linguaggio totale: non solo suono, ma immagine, narrazione, emozione condivisa. È ancora, dopo tutto questo tempo, la mia forma più autentica di comunicazione».
Qual è lo strumento da cui parti in fase di composizione?
«Quasi sempre la chitarra, anche se a volte inizio da un suono elettronico o da un’immagine visiva. La chitarra per me è come un’estensione del corpo: non penso alle note, ma alle sensazioni. Da lì costruisco intorno con synth, beat, texture, fino a quando la musica diventa un piccolo universo autonomo».
Cosa diresti a un giovane che si affaccia al mondo della musica e che vuole fare questo per mestiere? Qual è il tuo consiglio?
«Gli direi di non inseguire le mode, ma la propria voce. Di studiare, certo, ma anche di ascoltare tanto e di osservare il mondo con curiosità. La musica non è percezione e coraggio. Oggi più che mai serve autenticità, non serve essere perfetti ma veri. Con delle storie da raccontare».
Quale sarà il tema, se c’è un filo conduttore, del nuovo album in uscita? Puoi anticiparmi quando uscirà?
«Il filo conduttore è il viaggio: reale, emotivo, simbolico. “Paparazzi, Izakayas and Cowboys” è un percorso tra Occidente e Oriente, tra realtà e sogno ,tra passato e futuro, dove ogni brano è una scena di un film immaginario. Sto pubblicando le tracce una alla volta, l’album completo arriverà dopo che ogni capitolo avrà trovato il suo spazio nel mondo. È un progetto che cresce nel tempo, come una storia raccontata sotto le stelle».

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