Roberta Faccani: «’Senza far rumore’ è un canto d’amore che dedico a Giancarlo Golzi» – INTERVISTA

Roberta Faccani

Roberta Faccani pubblica ‘Senza far rumore

Senza far rumore‘ è il nuovo singolo di Roberta Faccani, un brano che dedica a Giancarlo Golzi, fondatore dei Matia Bazar e che in primis l’aveva voluta come voce dello storico gruppo. ‘Senza far rumore‘ nasce dopo una lunga gestazione a dieci anni dalla scomparsa dello storico batterista. Sento Roberta per parlare del nuovo lavoro discografico, della sua carriera in musica e dei sei anni che ha vissuto coi Matia Bazar.

Ciao Roberta, bentornata, come stai? Sono felice di poterti intervistare, il tuo nome è venuto fuori più volte e in diverse occasioni. Interessante l’aneddoto che riguarda te e la grande Mina che ha raccontato Gianfranco Fasano durante una presentazione del suo libro ‘Io amo‘.

«Mi fa piacere che tu nomini Franco, lui è un autore, un artista di grande spessore. Questo aneddoto su Mina ti fa capire quanto sia straordinaria e umile un’artista immensa come lei. Avevo inciso per Franco un provino di ‘Matrioska’, brano che lei ha inciso e, come mi hanno riferito, lo ha inciso mantenendo alcune sfumature della mia interpretazione, per me un grande onore».

Oggi torni con ‘Senza far rumore‘. Cosa ci vuoi raccontare con questa canzone?

«Dopo alcuni anni lontana dalla discografia ho sentito solo ora il desiderio di fare ascoltare questa canzone in cui credo molto. Pur avendola composta più di quattro anni fa, ho voluto prima curarla piano piano come si fa con un germoglio e solo ora, portarla a fioritura. Prima è nata la musica, parto sempre dalla musica, volevo una cosa che potesse parlare senza parole, è un cenno di frasi, di ricordi, tutto quello che ho potuto ricordare in sei anni di avventure, ho scelto accuratamente ogni parola.

Non solo mi rappresenta totalmente perché racconta una parte fondamentale della mia vita artistica e umana, i sei anni nei Matia Bazar, a cui devo moltissimo soprattutto per ciò che quella esperienza mi ha insegnato, ma perché principalmente è dedicata al ricordo di Giancarlo Golzi, batterista e leader storico del gruppo, il primo di loro che conobbi, gli altri erano ovviamente Piero Cassano e Fabio Perversi, e che fortemente volle la mia entrata nella band, con una chiara volontà di cambiare rotta rispetto al passato.

Purtroppo, dopo la fine del sodalizio col gruppo, da me certamente non voluta né mai sospettata, il “Capitano” Golzi, così l’abbiamo sempre chiamato tutti, è stato l’unico che nel corso del tempo non ho più sentito né visto. “Zio’ Gianca”, come invece lo chiamavo solo io, ora da lassù vede tutto, e sa molto bene quali sono state alcune dinamiche che si sono create in quegli anni. Sa anche che la mia discrezione, il grande rispetto per gli altrui equilibri, nonché la tristezza e rammarico di quel periodo e per come erano andate a finire le cose, non mi permisero di osare intromettermi nemmeno nel giorno dell’addio.

Al di là delle scelte professionali, accettate mio malgrado ma pur sempre rispettate, la mia è stata soprattutto una sofferenza umana perché sentivo fosse meglio farmi ancora da parte. Perciò l’ho pianto nella mia riservatezza, “senza far rumore”, così come dice il titolo del brano che gli ho voluto dedicare».

Che ricordo hai di quegli anni vissuti coi Matia Bazar?

«Oggi ti posso dire che voglio ricordare solo le cose positive. E’ passato del tempo, sono molto più consapevole di tante cose, amo sempre e solo ricordare le cose positive di ogni esperienza, la parte migliore di ogni persona che ha fatto parte della mia vita e continuo ad essere grata di tutto ciò che ho vissuto ed imparato. Personalmente, non solo mi sento fierissima per essere stata parte integrante, fammi dire direi persino rivoluzionaria, di una storia musicale e culturale così importante come quella dei Matia Bazar, ma nel modo di pensare il mio lavoro e anche nel vivere certi aspetti della vita, penso sempre ai consigli che Giancarlo mi ha trasmesso e che oggi sono parte imprescindibile della mia maturazione di donna e artista».

Certo, non a caso il brano che avete portato a Sanremo si intitolava ‘Grido d’amore‘, la tua presenza è stata dirompente, vi ricordo in un concerto in Sicilia, coi miei amici, Fabio in particolare, abbiamo detto: “ma questa ragazza è favolosa!”. Ricordo te sul palco, una teatralità e una presenza dirompente.

«Mi fa piacere tu abbia questo ricordo e che leghi quel grido d’amore alla mia permanenza nei Matia Bazar. Effettivamente sono stata scelta per soverchiare degli schemi. Devo molto a Giancarlo, il suo progetto, scegliendo me come voce, era quello di dare un diverso taglio allo stile dei Matia Bazar. Il mio lavoro è stato difficile, il confronto con le voci che mi avevano preceduto era impossibile: Antonella Ruggero voce straordinaria, stessa cosa per Laura Valente e per Silvia Mezzanotte, dovevo accontentare un rinnovamento e anche scontrarmi con uno zoccolo duro di fan. Poi, per motivazioni che non sono dipese da me e che non sto qui a spiegare, il sodalizio si è interrotto.

A differenza di altri componenti, non ho più sentito Giancarlo. Non mi è neanche sembrato il caso di farmi presente nel momento della sua scomparsa, ho sentito che sarei stata di troppo. So che gli devo molto e devo molto ai Matia Bazar, è un onore e un privilegio sapere di aver fatto parte di una band, che è anche una lunga storia d’amore che ha cambiato l’uso e il costume. ‘Senza far rumore’ nasce sulle ceneri di un addio mancato».

Mi piace fare questa domanda agli artisti che intervisto: qual è il primo ricordo che hai da piccola con la musica? Quando hai deciso che questa era la tua strada?

«Sai, ti dirò, credo sia un dono dal cielo. Non c’era neanche il giradischi, ma c’era la radio. Credo di essere nata col pallino della musicalità prima della vocalità, ero attratta dalle vocalizzazioni. In matematica ero un disastro, ma in musica facevo le terze, le quarte, avevo una peculiarità, avevo qualcosa che gli altri compagni non avevano. Intanto ho imparato a suonare la batteria, nella mia vita l’idea di fare musica, di essere una musicista è arrivata prima del canto. Anche la capacità di scrivere un brano, di arrangiarlo, mi piaceva l’idea di essere una musicista assieme ai musicisti.

Nella mia carriera ho fatto tanti incontri, professionisti che mi hanno insegnato tante cose. Credo sia giusto citare Cico Cicognani: lui posso dire che mi ha svezzato, mi chiedeva di cambiare le strutture di un brano quando eravamo sul palco. Poi Mario Lavezzi, lo stesso Mogol, Silvio Pozzoli, Manuela Cortesi, Aida Cooper. Ricordo una serata con Mario Lavezzi, si ruppe il micantino, siamo andati avanti senza porci alcuno scrupolo. Ho avuto la capacità di ascoltare, di imparare, non mi sono mai sentita arrivata, ho utilizzato le mie esperienza e le ho vissute assorbendo come una spugna».

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.
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