Dj Rocca: «scrivere una canzone è musicalmente come costruire un racconto» – INTERVISTA

TrioRox

Moods, il nuovo album dei TrioRox, genesi e produzione di un lavoro discografico fuori dal comune

Moods‘ è l’album d’esordio dei TrioRox, un trio, come si può ben intuire dal nome del gruppo, che mette insieme le sue risorse da musicisti per creare un’opera inedita contemporanea, ma che ha anche un sapore, per modalità d’esecuzione, jazz. Un progetto innovativo tra sperimentazione e attenzione al qui ed ora. L’album è composto da 10 tracce che raccontano con le note dieci storie, 10 stati d’animo, 10, com’è reso esplicito dal titolo di tutto il lavoro, moods.

La musica proposta dai Triorox, che nello specifico è composto dal pianista Giovanni Gaudi, il bassista Joe Rehmer e il musicista elettronico Dj Rocca, è una commistione di elettronica, dance, Jazz e pop, con slanci di groove nel campo della musica house e techno, senza tralasciare commistioni tra electro, classica e minimalismo. Sento al telefono Luca Roccatagliati (alias Dj Rocca) per farmi raccontare come ha preso forma questo straordinario progetto musicale.

Ciao Luca, come stai? Ti dico subito che per me sarà un’intervista difficile, in genere si ascolta un album, si fa attenzione alle parole, si preparano delle domande per capire cosa c’è dietro una canzone. Qui mancano le parole, ma ho come avuto l’impressione che il brano si auto compensi, com’è possibile?

«Mi fa piacere quello che dici, io sono abituato a poche parti vocali. Abbiamo composto 10 brani che per concezione vogliono avere una forma di racconto. La forma canzone c’è sempre, oggi il mercato discografico propone la forma rap, che è meno legata grammatica pedissequa, è più free. Nel nostro caso ci rifacciamo alla forma canzone, un po’ come si faceva negli anni ’30, c’è un tema di base, un inizio, una fine e al centro lo sviluppo della storia, musicalmente è come costruire un racconto.

Queste canzoni nascono da un intenso lavoro durato diversi mesi, per almeno un anno io Giovanni e Joe abbiamo lavorato separatamente, mandandoci le idee che venivano in studio. Poi in una seconda fase, durata pochi giorni, ci siamo chiusi in studio di registrazione e le abbiamo fatte dal vivo, lo stesso arrangiamento si è definito via via, nella fase live. In un terzo momento c’è stato un lavoro di post produzione, dove abbiamo deciso quali parti mettere, quali togliere, la lunghezza di un brano, come puoi notare dai titoli dei brani ce ne sono tre che si chiamano: ‘Mood one’, ‘Mood two’ e ‘Mood three’, ecco questi tre brani nascono da un’idea che poi ha preso forma con tre brani distinti, abbiamo preferito tenere dei brani più corti».

A proposito di titoli, è interessante, amo i giochi di parole, il titolo del brano ‘Sax and the city’… come vi è venuto?

«Intanto ‘Sex and the city’ è una serie tv, forse ormai datata, ma che io e la mia compagna abbiamo amato molto. Il brano di per sé è nato da una forma grammaticale dance anni 90 di Roni Size, un produttore discografico e disc jockey britannico anni ’90, lui fa un genere di derivazione giamaicana, ci sono ritmici accelerati, è un genere che c’è da 30 anni, abbiamo lavorato partendo da quella base accelerata arrivando a qualcosa che abbiamo percepito, con tutto il rispetto, come a un Charlie Parker del 3000».

Se in una canzone col testo la linea melodica principale è quella percorsa dalle parole, qual è la linea melodica di un brano privo di testo?

«In alcuni brani è più esplicita, in altre sono nate da una game session, ‘moods’ come ti dicevo nasce da tre stati numerati, in quelli ho cercato di fare dei racconti psichedelici, quello che ci veniva, su quelli abbiamo fatto una post produzione che ha poi individuato i tre brani distinti».

Siamo in un tempo in cui sembra che le parole siano più importanti, gli arrangiamenti si riempiono di parole, si dà poco spazio agli assoli, al coro, il vostro lavoro è, anche da questo punto di vista in controtendenza.

«Tutta la musica è nata da una session in studio durata alcuni giorni. Quello che ne è scaturito è diventato materiale incandescente per elaborare il flusso musicale dell’intero lavoro.  Abbiamo lavorato sulla suggestione tematica, come in ‘Angels’, ‘Corea’ e ‘Next To Canada’. Altre come sfida stilistica, come nella techno di ‘Space Rain’, o il drum and bass di ‘Sax & The City’»

Com’è nata la collaborazione con gli ospiti presenti nel vostro lavoro discografico?

«Questa è stata l’ultima fase, abbiamo pensato al tipo di suggestione che si voleva dare al brano specifico. Così si è lasciata briglia sciolta a Luigi Di Nunzio, che ha partecipato anche alla fase live, suonando con noi sul palco in alcune occasioni. Alla stessa maniera Gianluca Petrella ha scelto il pezzo dove si sentiva più a suo agio, contribuendo anche nell’arrangiamento. Dan Kinzelman, collaboratore storico sia di Guidi che Rehmer, è stato inserito perché si voleva proprio il suo clarinetto basso in una determinata situazione suggestiva. Infine, Jacopo Fagioli, la reincarnazione toscana di Don Cherry, lo abbiamo voluto in un preciso episodio di ‘Mood’, per il suo particolare stile, impeccabile nel determinare lo stato d’animo che necessitava il brano».

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.
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