Recensione del nuovo singolo di Tananai
Quello di Tananai è un percorso atipico per il mercato musicale odierno. Partito con proposte scanzonate e ben incastrate nell’attualità, come “Baby goddamn” e “Sesso occasionale“, ha poi approfittato del successo per mostrarsi in una maniera decisamente diversa, più tradizionale e classica ma anche molto più credibile. Sono arrivati quindi brani come “Abissale” e “Tango“, ormai dei classici, e anche il nuovo singolo “Veleno” s’inserisce alla perfezione in questo discorso.
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Il suono e il colore di una melodia tradizionale
Perché “Veleno” richiama palesemente le sonorità degli anni 2000 e ci ricorda il lato più pop-rock di artisti come Biagio Antonacci, Francesco Renga e Nek. Una costruzione quanto mai classica ma sempre efficace, da tipica ballatona di quel periodo: apertura strumentale e subito carica tra chitarre e batterie, e strofe più rallentate per poi riaccelerare in un ritornello profondamente melodico e lontano da quelli che sono i canoni attuali. Arriva infatti dopo un minuto e otto secondi, decisamente tardi se consideriamo la regola della tiktokabilità, secondo cui il ritornello deve arrivare subito per avere possibilità di diventare virale.
Il racconto di chi cerca nuove identità
Anche a livello di scrittura il brano trova una sua classicità nel raccontare un amore tormentato tra metafore, domande e la forza del sentimento cantato. I protagonisti mettono infatti davanti a tutto la voglia di viversi che supera la paura di farsi male (“So che tu sai di veleno e col veleno mi avvelenerò“, “Non fare quella faccia di chi sa che farà soffrire, perdere gli aerei e prendere dei vizi, ma cosa me ne frega, tanto resto qua“) e sanno anche andare oltre le chiacchiere altrui perchè “preoccuparsi di quello che pensano gli altri è compito degli scacchisti“.
Tananai con questo brano continua quindi a mostrarci la sua voglia di crescere e trovare un’identità più definita e matura rispetto a quelli che erano i suoi esordi. “Veleno” racconta proprio la voglia di non incastrarsi in una comfort-zone che oggi sarebbe più facile, immediata e furba, dandosi l’opportunità di osare, distinguersi e provare a cambiare le carte in tavola.
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