Silvia Mezzanotte

Silvia Mezzanotte: “Da bambina giocavo a cantare!” – INTERVISTA

Intervista a Silvia Mezzanotte impegnata su cinque progetti musicali

Una vita in musica, Silvia Mezzanotte è un’artista che vanta nella sua carriera diverse collaborazioni, è stata per alcuni anni, dopo Antonella Ruggero e Laura Valente, la voce dei Matia Bazar. La sua presenza e il suo stile si coniugano fin da subito con lo stile Liberty del gruppo, canzoni sofisticate, sinuose e floreali. Oggi Silvia, che è uscita dal gruppo dopo la scomparsa di Giancarlo Golzi (storico fondatore del gruppo assieme a Carlo Marrale, Piero Cassano, Aldo Stellina e alla prima voce del gruppo Antonella Ruggero) è impegnata su diversi progetti musicali che porta avanti parallelamente.

E’ in scena con uno spettacolo che si chiama “Le mie regine”, dove esegue le canzoni più intense delle interpreti che hanno segnato la sua carriera. Porta in giro “Duettango” assieme a Filippo Arlia. Con Carlo Marrale è in tour con “Vacanze romane”, dove esegue i brani di maggior successo dei Matia Bazar. Un altro spettacolo è “Vorrei che fosse amore”, dove esegue i brani di the voice of Italy: Mina. Qui è accompagnata dalle Muse, ensemble femminile dirette dal maestro Andrea Albertini.

Inoltre Silvia nel 2015 ha fondato assieme al maestro polistrumentista Riccardo Russo la “The vocal academy”, una scuola di musica a Mazara del Vallo, in Sicilia. La chiamo per un’intervista e per farmi raccontare qualche aneddoto di questa straordinaria carriera.

Ciao Silvia, so che sei impegnata in diversi progetti, come stai e cosa stai facendo in questo momento?

«Per adesso sono in tour con uno spettacolo che abbiamo intitolato “Le mie regine”. Abbiamo inserito brani di artisti che in qualche modo hanno contribuito alla mia carriera. Mi piace dire che per fare questo lavoro ci vuole un carattere di ferro e un fisico d’acciaio. Queste straordinarie interpreti mi hanno insegnato a vincere la mia timidezza. Porto sul palco canzoni di Mia Martini, di Giuni Russo, di Mina. Non è facile confrontarmi con queste voci, ma cerco di farle a modo mio».

Per quanto la tua presenza nei Matia Bazar sia stata breve, sei riuscita a rimanere nel cuore di molti, dopo la Ruggero, come l’interprete dello storico gruppo. Com’è nata l’idea di questa recente collaborazione con Carlo Marrale?

«Tutto è nato per caso. A volte, penso che capiti a molti, ci si trova in dei progetti a cui non avevi pensato ma che inevitabilmente ti si cuciono addosso. Cosi è stato con Carlo, non ci conoscevamo personalmente, abbiamo fatto parte dei Matia Bazar in momenti differenti. Ci siamo incontrati per caso in un albergo a Firenze dopo un concerto, lui prende la chitarra e io comincio a cantare, dopo un po’ ci guardiamo negli occhi e capiamo che stavamo facendo qualcosa di miracoloso.

Ci siamo ritrovati, senza dircelo, a eseguire i brani dei Matia Bazar con una una precisione come se li avessimo provati. Così è nata l’idea di portare questo nostro incontro in un tour che a volte è in acustico, altre siamo accompagnati da un’orchestra. Quando siamo da soli sul palco io e lui c’è più spazio per i racconti e Carlo, credimi, ne ha tantissimi. Pensa che lui è uno dei fondatori, lui era il più piccolo, era il bimbo, con gli altri aveva un rapporto sbarazzino, ha sempre mille aneddoti e storie da raccontare, sono storie che commuovono, che divertono. Io in qualche modo, cantando, sono la guida di questo racconto».

Tu quando canti mi dai l’impressione di un canto eseguito alla perfezione, si percepisce che c’è molta tecnica, c’è molto studio, ma riesci a trasmettere anche tanta emozione, qual è il giusto equilibrio tra le due cose?

«Sai, c’è da dire che si scende a patti con la sofferenza. Si tratta di un lavoro interiore, bisogna riuscire a trovare un equilibrio. La volontà è quella di lasciare che le sofferenze vengano fuori, ci vuole molto studio, ma il vestito si deve sporcare. Bisogna anche comunicare, ci sono grandi artisti come Vasco Rossi per cui una nota può non essere tenuta alla perfezione, però è un comunicatore convincente, credibile. Io, forse per la mia timidezza, per molto anni mi sono attaccata alla tecnica, lavorando poi su me stessa spero di essere riuscita ad acquisire quella parte che ti dicevo legata alla comunicazione. E quando percepisco che sto sbagliando qualcosa, che ne so, le parole o una nota, cerco di non dargli peso e andare avanti».

Negli ultimi Festival di Sanremo mettono una maxi schermo in galleria, di fronte al palco, che in qualche modo fa perdere la poesia della canzone imparata a memoria.

«Che io ricordi c’è sempre stato un gobbo sul palco dell’Ariston, ma io, pensa, sono riuscita a sbagliare lo stesso. Nella prima sera in cui ho cantato “Messaggio d’amore” ho sbagliato le parole e poi, per una questione di scaramanzia, l’ho cantata col testo “sbagliato” anche nelle sere successive!».

Di solito chiedo agli artisti che intervisto per la prima volta qual è il primo ricordo che hanno del loro rapporto con la musica. Com’è stato il tuo approccio da piccola? Qual è il tuo primo ricordo?

«Io da piccola avevo un mangiadischi rosso, inserivo i miei 45 giri delle fiabe. Poi ho scoperto Rita Pavone, ascoltavo ‘Nostalgia’ e ‘Solo tu’, mi mettevo nella mia cameretta e cantavo per ore. Poi a cinque anni l’ho dichiarato apertamente: io giocavo a cantare! Immaginavo di stare su un palco, mia madre mi presentava e io cominciavo a cantare. Ho sempre sognato in grande, speravo di cantare nei palchi della mia Bologna, ma ho dovuto fare i conti col mio carattere, ero molto precisa ma timidissima. C’ho messo tanto tempo per liberarmi di questa timidezza e ogni volta che salgo su un palco ho sempre quest’impatto.

Sono una molto precisa e amo fare le cose al meglio, la timidezza è parte del mio carattere. Ma il palco e la musica creano una magia che va oltre la mia timidezza, cerco sempre di abbattere la barriera che c’è tra il palco e la platea. Il palcoscenico crea una barriera che io cerco sempre di eliminare con l’abbraccio che viene dal pubblico. È un’eredità che mi porto dietro, sono diventata un’adulta e cerco di toglierla ogni volta».

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.