Tanto rumore conta meno di un paio di ballad che da sole valgono la serata
Il sipario si è alzato per il Festival di Sanremo 2024. Lo ha fatto per l’ultima volta (almeno per ora, poi chi lo sa?) sulla scelta delle canzoni da parte di Amadeus. Perchè Sanremo, checché se ne dica, è tornato ad essere soprattutto una vetrina di musica concentrata in cinque serate (monstre). Tanto più se il Direttore Artistico della kermesse ha scelto per il proprio canto del cigno un lotto di 30 artisti che portano la serata a chiudersi alle 2 di notte ma, soprattutto, con un ritmo folle che non lascia spazio a intermezzi o rilassamenti. Via uno, avanti l’altro. Il che è sicuramente un bene per chi Sanremo lo guarda per la musica ma, poi, forse è anche un male per la musica stessa perchè c’è il rischio che tra tante canzoni più di qualcuna si perda o non abbia il tempo di depositarsi a dovere.
Indice dei contenuti
Tanto up sonoro e poca riflessione testuale
Nel quadro generale delle scelte compiute da Amadeus risplende chiaramente la certezza che, tra le 30, sono nettamente di più le canzoni uptempo rispetto alle ballad. Più ritmo che riflessione. Più coreografie che sociale. Per gli artisti in gara la priorità pare (giustamente) quella di poter funzionare al meglio nel mercato che sta fuori dal Teatro Ariston. E siccome quel mercato oggi è dominato dalla dance, dallo spirito del “tormentone tutto l’anno” e da un’attenzione spasmodica alla veicolazione comunicativa del brano stesso ecco che anche le canzoni riflettono queste esigenze.
Il sociale e l’attualità rimangono confinate in un angolo. Il che non sarebbe di per sè un problema insormontabile se non fosse che la stessa fine la subisce anche la riflessione sentimentale più profonda. E in un lotto di 30 canzoni la cosa è abbastanza indicativa. Se non si parla di società o di politica e non si parla di introspezione o riflessione sentimentale di cosa si parla? Vai a capirlo. Per il più delle volte, si ha l’impressione che queste canzoni non parlino, non raccontino e non dicano sostanzialmente nulla. L’importante, però, è che suonino.
Tormentoni già serviti per l’inverno, la primavera e poi chissà
Classifica alla mano (qui la top5), alla stampa piace l’intuizione di portare all’Ariston l’aria del tormentone. Più di una brezza a dire il vero si tratta di monsone. In tanti, in questo Sanremo 2024, giocano la carta del tormentone anticipato. A guardare la top5 sono piaciute, su tutte, le proposte di Annalisa (7.5) e Angelina Mango (7+). La prima è ormai regina del dancefloor e, con ‘Sinceramente‘ che è già una hit da classifica, si mostra all’Ariston per la prima volta disinvolta oltre che sempre vocalist irraggiungibile. La seconda, invece, per ‘La noia‘ non mostra già più il marchio di Amici addosso e sta sicura sul palco proponendo un brano che esaspera la sua padronanza scenica più che le doti. In entrambi i casi si può dire che l’interprete sia più forte della canzone ma che, a lungo andare, nessuno potrà sottrarsi dal fischiettare questi due motivetti.
Gioca sull’uptempo anche Mahmood che sta in top5 con una ‘Tuta gold‘ (5) che lo fa cantare come sempre ma che lascia qualche interrogativo in più del solito. La sua voce e la sua timbrica rimane impareggiabile e si adatta sempre benissimo al suo scrivere melodico e all’arrangiamento. Ma allora perché un testo così? Forse la voglia di streaming in questo caso è stato troppo forte. Chi, invece, ce la fa è Stash ed i suoi The Kolors che azzeccano il secondo tormentone consecutivo con ‘Un ragazzo una ragazza‘ (7-) facendo quello che fanno da sempre.
Se non sorprende trovare nell’universo ballabile i Ricchi e Poveri, lascia senza parole vedervici anche Fiorella Mannoia. I primi ripropongono se stessi con una ‘Ma non tutta la vita‘ (6) che sostanzialmente prova ad attualizzarli con coerenza. La cantautrice romana, invece, si propone saggiamente diversa con ‘Mariposa‘ (6.5) per evitare l’effetto “già sentito” e si appoggia a ritmi latini che ha già sperimentato nei suoi periodi di non massima mediaticità per cantare il mondo femminile. Esce dalla zona di confort persino Emma che con ‘Apnea’ (7) è molto poco ballad-rock come è sempre stata e molto più club-disco.
I sopravvissuti della canzone sanremese e le sue derive
Quella che un tempo veniva definita “canzone sanremese” presenta ben pochi superstiti tra le scelte di Amadeus per questo Sanremo 2024. L’esperimento più riuscito è quello dell’attesissima Alessandra Amoroso. Attesa per 15 anni in gara, l’artista pugliese finalmente si concede con ‘Fino a qui‘ (8.5) tornando a fare ciò con cui era nata artisticamente: l’interprete classica intensa, potente e struggente. Il pezzo è quello giusto per raccontare il dolore di due anni difficili e per mettere in evidenza, oltre alla maturità raggiunta, una voce nuova che le dona profondità ed eleganza.
Sul podio della stampa ci finiscono, però, Diodato e Loredana Bertè. Il fu vincitore del 2020 non si discosta dal proprio DNA confermandosi con una ‘Ti muovi‘ (8) che ha sempre la sua poesia. La rockstar calabrese che il Festival non l’ha mai vinto ci prova con una ‘Pazza‘ (8.5) che le offre l’opportunità di cantare un brano-manifesto. La sua voce è meno graffiata e incisiva di quanto lo sia stata in altre occasioni ma il pezzo ha in sè la radiofonicità e, contemporaneamente, la qualità di un racconto reale.
Chi ha un altro gran bel pezzo sono i Negramaro che del Festival potevano aver bisogno per rilanciare i propri numeri di vendita e che, invece, hanno una scelto una non immediata ‘Ricominciamo tutto‘ (8+). Qui il tormentone non c’è e non c’è nemmeno la possibilità di canticchiare per l’ascoltatore. Eppure va bene così perché la canzone ha in sè una qualità difficilmente riscontrabile altrove.
Provano a trovare un’amalgama non scontata tra le loro voci RengaNek con una ‘Pazzo di te‘ (6+) che va nettamente più verso il primo e, di certo, non guarda alla forma canzone d’oggi per scegliere coraggiosamente un’aderenza alla tradizione. Meglio riesce, invece, l’impresa del giovane Maninni che fa della tradizione con la sua ‘Spettacolare‘ (6.5) che manca solo di un momento in cui si lascia andare per davvero dopo il giusto crescendo. Forse quell’elemento è proprio quello che colgono i Santi Francesi che per ‘L’amore in bocca‘ (7) partono dalla tradizione ed evolvono verso elettronica ed una voce davvero presente.
Più fedeli all’immaginario tradizionale sono i ragazzi de Il Volo che, eppure, provano a trovare soluzioni nuove per ‘Capolavoro‘ (6/7). La canzone lancia vivida l’intenzione di guardare maggiormente al pop rispetto al canto lirico eppure il risultato non vi si discosta del tutto per una questione di volumi (Piero e la sua impostazione operistica sovrastano tutto e tutti) e per via di una teatralità scenica talvolta esagerata.
Se bene riesce ad Irama la permanenza nell’universo del pop-soffuso ed orchestrale con una ‘Tu no‘ (7) piena di sali e scendi, non convince il cambio di passo di un Sangiovanni non ancora maturo al punto giusto per pensare ad una ‘Finiscimi‘ (5) che non può funzionare. Le ballad d’amore sono materia complicata. Ben lo sa Gazzelle che con mestiere gestisce una ‘Tutto qui‘ (6+) che lo rappresenta senza toccare vette.
I giovani, il rap e il nuovo che avanza
Il rap, in questo Festival, viene rappresentato dal nome di peso di Geolier. Che i non napoletani capiscano poco della sua ‘I p’ me, tu p’ te‘ (5,5) è certo ma la musica saprà coinvolgere (insieme a tanto, tanto, autotune). Ma c’è poi anche Il Tre che con ‘Fragili‘ (6) adotta una struttura un po’ datata con inciso melodico e strofe serratissime di parole. La canzone, però, gira.
Il più ispirato del lotto risulta essere, però, l’esperto Dargen d’Amico che sa che valore dare alle parole e alle immagini nella sua ‘Onda alta‘ (7) che, forse, parla meno apertamente di quanto avrebbe potuto fare ma che farà canticchiare parole pesanti anche a chi non se ne renderà conto fino in fondo grazie ad una cassa in quattro irresistibile. Anche se le strofe sono lunghe e con tante, troppe, parole. Assai. Anche Ghali tra ispirazione dalla società per ‘Casa mia‘ (6+) ma manca di mordente per risultare incisivo fino in fondo.
A metà strada tra tante cose si colloca Rose Villain. La sua ‘Click boom!‘ (6-) la fa cantare con tanta voce e le lascia la possibilità di un inciso che poco centra con l’atmosfera delle strofe iniziali. Forse proprio questa dicotomia non convince e la fa apparire, colpevolmente, poco convinta di sè e delle sue possibilità sul binario tradizionale. Anche Clara sceglie la dimensione del crossover per la sua ‘Diamanti grezzi‘ (6+) ma lo fa adottando una coerenza sonora. Chi coglie davvero la propria occasione è BigMama che con ‘La rabbia non ti basta‘ (7) ha il ritmo giusto, un testo ispirato e l’attitude da performer.
Fa il compitino Fred de Palma che non sceglie il reggaeton per ‘Il cielo non ci vuole‘ (4) ma prende spunto in pieno dal diktat dance. Il giovane Alfa sceglie di confermarsi scanzonato anche con una ‘Vai!‘ (5,5) che richiama troppo ‘Run’ degli One Republic. Tanta confusione anche in casa BNKR44 che con ‘Governo punk‘ (5) non approfittano dell’occasione perdendosi in un collage di cose. I discussi La Sad hanno dalla loro il “Pinguino” Riccardo Zanotti e nella scrittura di ‘Autodistruttivo‘ (4,5) si sente anche se, poi, il cantato è quello che è.
Lascia un commento