Analisi sulla canzone sanremese di Alessandra Amoroso e su quanto il pregiudizio sia deleterio nella musica
Alessandra Amoroso ha portato a Sanremo una gran bella canzone. Ultimamente si abusa un po’ troppo del termine “capolavoro”, ma qui è il caso di scomodarlo. “Fino a qui” suona già come un grande classico sanremese, un brano da interprete matura che, in un’edizione votata alla ricerca ossessionata del tormentone, ha avuto il coraggio di giocarsi la carta della canzone senza tempo anche grazie a un testo importante, con una storia dietro che nasce dalla shitstorm subita sui social dopo che un video in cui aveva negato un autografo a un fan, nel 2022, era diventato virale.
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La toccante lettera letta in conferenza stampa |
Lunedì Alessandra si è presentata in conferenza stampa leggendo una lunga lettera in cui ha raccontato tutto il periodo di difficoltà che ha attraverso negli ultimi anni e di cui vi riportiamo alcuni passaggi: “Mi sono sentita sopraffatta da situazioni che in 15 anni di carriera non mi ero mai trovata a dover affrontare. E che non ero preparata ad affrontare. Una valanga d’odio mi ha investita da un giorno all’altro. Non parlo dei meme su cui ho sempre scherzato per prima, ma parlo degli insulti molto gravi e delle minacce di morte che mi arrivavano quotidianamente. Era il periodo in cui ero talmente concentrata sul mio primo concerto a San Siro, che non mi sono accorta di tutto quello che stava succedendo intorno a me. Subito dopo l’adrenalina ha cominciato a scendere e, parallelamente, ho iniziato a capire davvero quale fosse la gravità della situazione“.
Poi, dopo aver letto in lacrime e con la voce palesemente rotta dalla sofferenza alcuni dei gravi insulti subiti, ha aggiunto: “Mi sono sentita messa all’angolo perché questi giudizi non colpivano più solo Alessandra Amoroso artista ma anche Alessandra persona. Una volta in un ristorante ho fatto una foto con un signore e lui mi ha detto che allora non ero così antipatica come dicevano tutti. Ho portato a termine il tour, ogni sera dovevo salire sul palco e avere la carica per dare il meglio, per chi lavora con me e per il mio pubblico che mi ha sempre sostenuta. Ma alla fine mi sono concessa finalmente di non stare bene, e di allontanarmi. Sono scappata in Colombia e non volevo più tornare“.
Canzone che nasce da un periodo di sofferenza |
“Fino a qui” nasce da tutto questo e i riferimenti alla sofferenza e al bullismo subiti sono palesi ed espliciti. A parlare è una donna che si vede “nello spazio una formica“, che si sente “come Sally, senza avere più voglia di fare la guerra“, che dice: “Non sanno che sto male, forse nemmeno gli importa“. Fino all’immagine più importante su cui ruota tutto il brano: il volo metaforico giù da un grattacielo come emblema di tutte quelle volte in cui nella vita si cade ma è anche possibile rialzarsi. E, infatti, lei durante la caduta continua a ripetersi che “fino a qui tutto bene” perché, anche nei momenti più duri, è necessario non perdere mai la speranza.
Contenuti che rendono il brano quello più profondo presentato a Sanremo da una cantante donna dai tempi di “Che sia benedetta” di Fiorella Mannoia (2017), eppure l’accoglienza sia sui social che da parte della stampa è stata molto tiepida e questa diffidenza ha origine proprio dal pregiudizio che si è sviluppato nei suoi confronti. Molti non riescono ad ammettere che “Fino a qui” è un capolavoro perché a cantarlo è lei, per la pubblicità negativa che l’ha sopraffatta, per l’astio che condiziona il giudizio sull’artista.
Torniamo indietro un attimo di un anno. Questa canzone ha lo stesso obiettivo di “Due vite” di Marco Mengoni nella costruzione, nella carica emotiva, nell’intensità, e in un testo che, proprio come in quel caso, è molto esistenziale e concettuale. Siamo certi che, se a cantarla fosse stato lui, sarebbe balzato subito al primo posto della classifica festivaliera e avrebbe già ampiamente ipotecato la vittoria, perché più che la canzone oggi si giudica prima l’artista che la porta.
Accoglienza timida condizionata dall’astio nei confronti dell’artista |
E questo è evidente da molti commenti che si leggono in giro su “Fino a qui“. Alla cantante leccese si rimprovera il fatto di essere troppo simile a sè stessa mentre, allo stesso tempo, si esaltano up-tempo tutti uguali tra di loro. Come se fosse sbagliato avere una propria identità invece di cavalcare semplicemente una moda e assomigliare a qualcosa che già c’è. Alessandra in questa canzone è indiscutibilmente lei, porta il suo stile, le sue origini, il suo credo che è ciò che l’ha fatta diventare la cantante donna di maggior successo degli ultimi 15 anni.
Oggi però è solo giovedì e siete ancora in tempo per giudicare “Fino a qui” come merita e non per partito preso, applaudendo un’artista che avrebbe potuto presentarsi con un motivetto ballabile e immediato e assicurarsi da subito il favore di chi ama l’attualità musicale, e invece ha avuto il coraggio di presentarsi senza sovrastrutture e con una canzone che ha una storia. La sua. Oggi è soprattutto questo il coraggio: mostrarsi esattamente come si è.
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