Luigi Tenco

Una stretta morale – Luigi Tenco oltre i cliché

Ricordiamo il pensiero dell’artista attraverso alcuni dei suoi testi più scottanti: messaggi in bottiglia per futuri “disertori”

Voglio fare come Luigi Tenco, andare subito al dunque e provare a interpretare la forma delle cose. Sono tempi modesti questi se visti su larga scala, eppure impreziositi di certo dalle piccole grandi meraviglie che la vita ci pone davanti. Nella spaccatura tra i destini personali e quelli generali si apre uno spazio intermedio di dialogo che un tempo la cultura, attraverso la voce degli intellettuali, sapeva prendersi con naturalezza.

Eppure, più che commiserarsi per i tempi andati, ci gioverebbe riflettere sulle opportunità che non abbiamo ancora colto: quello spazio di riflessione creativa, per ora, potrebbe essere occupato da quanto è stato detto e fatto da artisti e pensatori mai realmente custoditi e coltivati dai posteri perché travisati o peggio banalizzati. Che sia in un programma televisivo pensato per salvaguardarne il ricordo, l’articolo di un rotocalco culturale della carta stampata, un commento sui social, una trasmissione radiofonica o persino una lezione universitaria, Luigi Tenco subisce con una certa frequenza, suo malgrado, questo destino comune agli spiriti generosi.

Spesso ho l’impressione che lo si citi più per dovere che per passione, con le pinze, come per poi riporlo in un baule di vecchie utopie da non rovistare troppo per non correre il rischio di caderci dentro. Il jolly facile per i “tenchiani della domenica” è quello dell’artista maledetto, o a seconda della declinazione che si preferisce, del poeta triste, del musicista malinconico, o perfino del vampiro, come l’ha ironicamente apostrofato Morgan, insomma qualcuno da relegare a uno stereotipo già codificato.

Di seguito si proverà a ricordare Tenco attraverso l’allucinante modernità, e purtroppo l’attualità, di alcune delle sue più vivide indignazioni, messe in musica senza troppi giri di parole con l’istinto di una musicalità naturale, fuori da ogni retorica tanto morale quanto formale. Non è che una selezione di pochi versi per testimoniare l’essenza di un ragazzo benedetto dal fuoco sacro dell’empatia e mai stanco di prendere, attraverso i suoi brani, posizioni mai di comodo. I vampiri, si sa, fanno meno paura di chi sceglie di stare dalla parte degli oppressi.

Giornali femminil

Leggendo certi giornali femminili
verrebbe da pensare che alla donna
interessino poco i problemi più grandi:
trasformare la scuola
abolire il razzismo
proporre nuove leggi
mantenere la pace
Comunque, per fortuna esiste l’uomo
che si preoccupa…
mi dovete scusare
se mi scappa da ridere

Giornali femminili” prende di mira la stampa di evasione, secondo l’artista piemontese una fabbrica di frivolezze concepita per relegare la donna in un ruolo prestabilito, rigorosamente lontano dalle grandi decisioni che danno una direzione all’umanità, rigorosamente ad appannaggio di una classe dirigente tutta al maschile. Questo testo sorprende per l’estrema semplicità con cui è veicolata l’idea e per l’ironica (ma non per questo meno severa) messa alla berlina dell’autorità maschile, sbeffeggiata a più riprese proprio nel ritornello.

Da notare, poi, come nella rapida carrellata di priorità morali di cui l’umanità tutta dovrebbe farsi carico, Tenco metta al vertice l’istruzione. Non una riforma, ma una trasformazione radicale, una rivoluzione, sarebbe necessaria per l’autore. Queste parole, scritte da Tenco nei primi anni sessanta dovevano risultare quasi fantascientifiche, se i discografici hanno pensato di tenere il nastro del brano al sicuro in un cassetto fino a tempi più maturi. La canzone verrà pubblicata solo nel ‘72, cinque anni dopo la sua morte, quando la rivoluzione giovanile del Sessantotto aveva posto all’attenzione della società, tra le altre cose, proprio il tema della riconsiderazione del ruolo della donna nella vita politica e quotidiana, con la nascita dei primi movimenti femministi e il parziale superamento dei modelli precedenti, oltre allo sdoganamento della questione razziale e lo sviluppo di nuove linee pedagogiche.

La canzone della moda

Le prime volte lui si era opposto
Ma poi pensò: “Ma chi me lo fa fare?”
E da quel giorno a poco a poco si abituò
Un mese dopo non beveva altro…

Un altro brano della produzione postuma, un’altra pietra incandescente scagliata contro la palizzata del potere, questa volta quello dei mass-media. Per sua la capacità analitica di raccontare, attraverso una storiella (quasi una parabola), l’influsso sull’opinione pubblica di un’industria pronta a tutto pur di raccogliere consensi, “La canzone della moda” è una delle più vivide testimonianze del pensiero di Tenco.

Un tavolo riservato di grandi industriali in un ristorante d’elite, un cameriere qualunque che origlia i piani per lanciare sul mercato una nuova bibita. L’iniziale disprezzo del ragazzo per la stessa non può nulla contro la pesante pervasività della pubblicità: finirà addirittura per caderne in dipendenza. La storia, ciclica, è destinata a ripetersi col cameriere che lo sostituirà. Il potere, arroccato in sé stesso e con tutti i media a propria disposizione, può disporre placidamente tutte le strategie necessarie alla sua conservazione, mentre i vari Antonio e Pasquale protagonisti della vicenda, vengono stritolati inesorabilmente da questo meccanismo.

Ognuno è libero

Invece fra voi ce n’è più di uno
che è vestito bene,
pettinato bene,
però per bene non è
E questo qualcuno
si è messo in testa
che la gente, con le buone
o con le cattive,
deve fare quello che vuole lui…

Se Tenco non farà in tempo ad attraversare la contestazione giovanile del Sessantotto, ha comunque modo di anticiparne molte delle istanze. “Ognuno è libero“, pubblicata nel ‘66, è un inno contro il conformismo dilagante, laddove l’autore, ancora una volta con parole essenziali e fuori da ogni schema metrico come dalla tentazione di ricercatezze formali, si cala nei panni di chi non si omologa al rassicurante modo di apparire della classe dirigente. In superficie, il testo sembra comunicare direttamente con quello altrettanto liberatorio di “Come potete giudicar”, manifesto del beat italiano scritto da Guccini nello stesso anno. Tenco tuttavia va oltre il desiderio di accettazione dei ragazzi: getta, con semplicità inequivocabile e disarmante, un ombra su chi, nascosto dai rassicuranti panni dell’uomo perbene, agisce con ogni mezzo contro il bene comune. Ancora una volta, un punto di vista non usuale. Quello di Tenco non è un incitamento alla ribellione, bensì una presa di coscienza del pericolo.

Bonus: Tenco traduttore

Se c’è da versar sangue
versate solo il vostro
signori, ecco il mio posto
io non vi seguo più.
E se mi troverete,
con me non porto armi:
coraggio, su, gendarmi,
sparate su di me.

Padroni della terra” è un libero adattamento da “Le deserteur” di Boris Vian, brano antimilitarista in forma di lettera che nell’originale ha per destinatario “Monsieur le president” e che Tenco invece allarga a tutti i mestieranti del potere, coloro i quali, con le loro decisioni, tengono in pugno le vite dei poveri individui cui non è spettata la stessa macabra fortuna. La versione di Tenco rinuncia anche alle precise connotazioni geografiche del testo di partenza per universalizzare il discorso. Il punto focale sta tutto in quel “non vi seguo più”, verseggiato dal cantautore con estrema lucidità, assente nell’originale francese come nell’altra (successiva) rielaborazione italiana, la più nota, realizzata da Giorgio Calabrese e interpretata, tra gli altri, da Ornella Vanoni e Ivano Fossati.

Quest’inedita sfumatura di indipendenza del singolo uomo rispetto alle logiche geopolitiche e nazionalistiche che lo imbrigliano in una stretta mortale, permette a Tenco di dare un’altra possibilità al soldato che diserta la guerra che sta combattendo. Il potere di astenersi da quella che sembra una strada già segnata e decidere invece, arbitrariamente, di sfuggire alla disumanità è una delle lezioni che i versi di Tenco ci hanno lasciato. Un bagliore di speranza, una stretta morale.