Isotta e l’importanza di scrivere il proprio finale in “Happy ending” – RECENSIONE

Isotta

Recensione di “Happy ending“, nuovo singolo di Isotta che arriva a quasi un anno dal precedente “Coming out

Chi non scrive la sua storia non può decidere il finale“: ascoltando il nuovo singolo di Isotta – “Happy ending“, disponibile da venerdì 6 giugno su tutte le piattaforme digitali – riecheggia nella mente questo verso contenuto in una canzone di Fabrizio Moro pubblicata nel 2008, “Seduto a guardare“. Un concetto che, in poche parole, riassume al meglio il focus di una proposta che invita a riprendere in mano la propria vita, a ritrovare sè stessi, a prendersi le proprie responsabilità, a tornare ad essere protagonisti del proprio tempo e non più solo spettatori e a scrivere da soli il proprio finale.

Finale non per forza perfetto e felicità normalizzata

Esattamente come faceva all’epoca Fabrizio Moro, Isotta non parla del finale perfetto che ci rende vincenti e appagati in ogni campo e non lo brama neanche, perché ha accettato di convivere con una disillusione tale da dire che “non è che se ci credi poi si avvera sul serio“. Il suo è un “happy ending” dalle tinte agrodolci, da cercare “tra le ombre del passato” e, quindi, molto più profondo e interiore perchè nasce dai momenti di buio (“Tu mi hai spento le notti stellate“) e riesce ad accarezzare la serenità solo grazie al ritrovato coraggio di correre verso ogni emozione possibile (“Guardami ora, sono un brivido in piena estate“).

Quella cantata dalla cantautrice toscana è una felicità normalizzata (“Non è un sogno, vedi, è molto meno“) che trova la propria gratificazione semplicemente dall’essere riusciti a trovare un senso anche nel disastro, nelle crepe e nei tentativi andati male (“Strade buie, cuori infranti ma vedo il cielo“). È proprio il cielo una delle immagini più importanti di questo brano perché guardarlo è forse il gesto più semplice ed elementare che si fa sin da bambini, eppure diventa un riferimento essenziale quando ci si trova persi “senza mappa nè destino“.

Un senso di smarrimento che, unito a quello di solitudine (“Dovrei cambiare per sentirmi meno sola“), di inadeguatezza (“Tu vergognati pure di me, io lo faccio da sempre“) e di sofferenza (“Il dolore mi ha fatto da padrino“), va a toccare tutti i principali punti di fragilità che colpiscono l’animo umano in una canzone che crea, così, un intrigante contrasto tra le atmosfere fresche, solari e sbarazzine delle sonorità e le grandi zone d’ombra che contraddistinguono il testo.

Proposta in cui la musica è mossa solo dall’occasione di verità che rappresenta

Happy ending” riporta Isotta sulle scene discografiche dopo circa un anno di silenzio dall’uscita del precedente singolo “Coming out“. Un periodo di pausa che l’artista ha sfruttato per lavorare in studio, per sperimentare, per mostrarsi rinnovata come dimostrano le inedite tinte house del ritornello e, soprattutto, per vivere perché una cantautrice per scrivere deve prima poter vivere e non può assecondare i ritmi di un mercato discografico che richiede una pubblicazione bulimica.

Nel percorso di Isotta la musica è figlia di una spiccata esigenza comunicativa ed è mossa unicamente dall’occasione di verità che rappresenta. Isotta ha trovato una strada indiscutibilmente personale, sa prendersi i suoi tempi, esce solo quando sente di avere qualcosa di importante da dire e, quindi, nella sua proposta, riprende esattamente il messaggio di questa canzone, con il chiaro invito a smetterla di aspettare il finale perfetto e iniziare a scriverselo da soli, sapendolo poi accettare qualunque esso sia. Una consapevolezza che, alla fine, ci gratifica indipendentemente dal risultato, perché siamo noi ad aver scritto la nostra storia. Senza scorciatoie e compromessi e aprendosi alla possibilità che ogni fine può, comunque, nascondere un inizio migliore.

Classe '92, il sogno della scrittura l'ho lasciato per troppo tempo chiuso in un cassetto definitivamente riaperto grazie a Kekko dei Modà, il primo artista ad essersi accorto di me e a convincermi che questa è la strada che devo percorrere. Per descrivere il mio modo di raccontare la musica utilizzo le parole che mi ha detto una giovane cantautrice, Joey Noir: "Grazie per aver acceso la luce su di me quando si sono spenti i riflettori". Non faccio distinzioni tra la musica che è sotto i riflettori e quella che invece non lo è, perchè l'unica vera differenza dovrebbe essere tra musica fatta bene e musica fatta male.
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