Fabrizio Moro dice no a Sanremo 2025 e apre a riflessioni più allargate

Fabrizio Moro

Le importanti dichiarazioni di Fabrizio Moro sul Festival di Sanremo richiedono una riflessione molto più approfondita

Ha fatto molto rumore sui social, in questi giorni, una dichiarazione di Fabrizio Moro tratta da un’intervista rilasciata a Luca Dondoni per La Stampa, in cui il cantautore romano ha annunciato che non si presenterà al prossimo Sanremo perché infastidito dalle dinamiche che ruotano attualmente intorno al Festival, trovando anche occasione per tirare in ballo piattaforme streaming e scena rap. Parole che, su alcuni siti, sono state ridotte a un semplice attacco nei confronti dei rapper ma che, in realtà, nascondono una critica al sistema, aprendo a una riflessione molto più allargata e meritando, quindi, di essere analizzate approfonditamente.

Rabbia nei confronti di un sistema troppo influenzato dalle piattaforme streaming

Non mi piace – dice Moro – mettermi in fila. Ho una storia sanremese piuttosto importante e, viste le dinamiche che ci sono adesso, non mi va di fare sala d’attesa insieme a una pletora di ragazzini che hanno pubblicato un singolo o poco più. Sanremo è una luce che ha illuminato il mio percorso e porto un rispetto enorme ma no, non ci sarò […]. Prima del Covid, c’era più equilibrio fra chi aveva una carriera e un rapper con la catena al collo, appena arrivato, ma forte su social. Non lo sopporto“.

Parole che nascondono un’evidente rabbia nei confronti di un sistema, secondo Moro, troppo influenzato dalle piattaforme streaming che spingono solo la scena attuale: “Il vero danno lo hanno fatto le piattaforme di streaming. Non ci sono filtri. Prima dovevi affrontare il direttore artistico e lui ti diceva se era giusto o sbagliato quello che facevi, oggi no. Viviamo in un sistema malato, non c’è più gavetta. Ogni anno c’è il disco più streammato della storia della musica, ma è una bufala. Non è vero. Tra acquistare e streammare è tutta un’altra cosa […]. Il cantautorato della mia generazione sta per essere soppresso. ‘A voglia a chiamarci per fare i concerti per la pace, chiamate i rapper che farciscono le classifiche di streaming e vediamo cosa succede“.

Influenza delle piattaforme streaming che condiziona anche le scelte festivaliere

Il discorso di Moro suggerisce, senza mezzi termini, che le scelte dei direttori artistici siano oggi troppo ossessionate dai risultati sulle piattaforme che gli artisti portano in dote al Festival. Una tendenza che si è fatta largo nella gestione Amadeus, volto di una priorità data ai numeri, messi più volte davanti alla qualità delle proposte. Lo stesso conduttore ravennate, durante i pre-ascolti riservati alla stampa delle canzoni dell’ultima edizione, ha dichiarato che “la cosa più importante è che ci siano tanti tormentoni. Io prediligo quelli. Le canzoni del Festival devono rispecchiare i gusti del pubblico giovane“.

Un gusto forzatamente giovanilistico che ha, in gran parte, tagliato fuori il pubblico più maturo ed esigente (vedasi la rivolta della platea dell’Ariston nei confronti di Geolier) e che ha spesso influenzato anche la giuria della sala stampa nel preferire nomi di tendenza e tormentoni agli artisti più tradizionali, quasi a voler mostrare a tutti i costi una linea moderna, attuale e complice delle linee streaming-friendly imposte da Amadeus.

Non è, infatti, un caso che, nelle ultime cinque edizioni, abbiamo visto molti artisti figli della stessa generazione di Moro, o comunque in linea con un gusto prettamente classico, tradizionale e melodico, fortemente snobbati dal voto della sala stampa pur con canzoni alquanto meritevoli, evidentemente perché non in linea con ciò che richiede l’attualità.

Gli esempi che dimostrano un certo snobismo nei confronti degli artisti più tradizionali

Quest’anno, ad esempio, è stato triste vedere Francesco Renga e Nek considerati alla stregua de La Sad, Il Tre e Fred De Palma, ma anche Alessandra Amoroso messa solo a metà classifica con una canzone importante come “Fino a qui” (ne abbiamo parlato qua). Nel 2020, Le Vibrazioni arrivavano alla serata finale con un podio che sembrava già prenotato grazie alla intima e delicata “Dov’è“, e invece se lo sono visti sfumare dopo il voto della sala stampa, che ha preferito i più radiofonici e attuali Pinguini Tattici Nucleari. Nel 2021 abbiamo visto Willie Peyote sopra Ermal Meta e una cosa simile è successa l’anno successivo proprio a Fabrizio Moro, a cui sono stati preferiti i tormentoni de La Rappresentante di Lista, Dargen D’Amico e Ditonellapiaga (con Rettore).

Ma è nell’edizione 2023 che troviamo la fotografia più emblematica della mancanza di equilibrio tra “vecchia” e “nuova” generazione, con Lazza sopra a Giorgia e, addirittura, la provocazione fine a se stessa di Rosa Chemical (di cui si sono perse le tracce subito dopo la partecipazione al Festival) preferita, nell’ordine, ad artisti del calibro di Ultimo, Gianluca Grignani e Modà. Ecco la dimostrazione di ciò che dice Fabrizio Moro: un Festival che non rispecchia più chi sceglie di non risultare streaming-friendly e in linea con l’attualità. Le sue parole non parlano solo di se stesso, ma di tutta una generazione umiliata da un confronto che vede la bilancia spostata nettamente, e spesso immeritatamente, tutta da un lato.

La mancanza di equilibrio che porta tanti artisti a non sentirsi più rappresentati dal Festival

Negli ultimi anni, infatti, molti artisti hanno dichiarato di non sentirsi rappresentati da questa gestione festivaliera. Un esempio su tutti è quello di Federico Zampaglione dei Tiromancino, che ha scelto di non mandare mai nessun brano perchè “il Festival di Amadeus non rispecchiava la mia musica, inseguiva l’intrattenimento facile e i tormentoni. Altro che Sanremo, era un Festivalbar condito da coreografie da TikTok“.

Ma è anche chi l’ha vissuto da dentro a non sentirsi più rappresentato. Dicono questo le parole di Fabrizio Moro che ha gareggiato nel 2022 e che oggi ne parla con i toni che abbiamo riportato, così come quelle di Kekko Silvestre che, durante la partecipazione del 2023 con i suoi Modà, dichiarava in conferenza stampa che “la spettacolarizzazione del Festival l’ha fatto diventare quasi un Festival di influencer: ne esce meglio chi fa più numeri su Instagram. Escludendo artisti come Mengoni e Ultimo, ho sentito delle robe sopra di noi in classifica che allora io non capisco più niente, mi sono totalmente rincoglionito“.

In conclusione

Qual è, quindi, la conclusione? Che oggi Carlo Conti si trova davanti a un bivio: o sceglie di rimettere al centro la melodia, il pop più autorale, il talento e la preparazione vocale, sposando cioè l’invito fatto anche da Renato Zero in una recente intervista (“L’auspicio è che si ritorni alle belle melodie, alle belle armonizzazioni, agli arrangiamenti impeccabili, ai grandi interpreti. Oggi sembra tutto un copia incolla, e questo non giova a nessuno“), oppure tutti gli artisti vicini al mondo di Fabrizio Moro arriveranno a prendere la sua stessa decisione. Perché non è più il loro Festival, che sarebbe così destinato a diventare, definitivamente, come lo abbiamo già visto quest’anno: un fratello maggiore del Battiti Live.

Classe '92, il sogno della scrittura l'ho lasciato per troppo tempo chiuso in un cassetto definitivamente riaperto grazie a Kekko dei Modà, il primo artista ad essersi accorto di me e a convincermi che questa è la strada che devo percorrere. Per descrivere il mio modo di raccontare la musica utilizzo le parole che mi ha detto una giovane cantautrice, Joey Noir: "Grazie per aver acceso la luce su di me quando si sono spenti i riflettori". Non faccio distinzioni tra la musica che è sotto i riflettori e quella che invece non lo è, perchè l'unica vera differenza dovrebbe essere tra musica fatta bene e musica fatta male.
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