Il racconto del Paese dove tutto cambia affinché nulla cambi
Oggi più che mai. E dopo i fatti di Pisa, anche di più. Parliamo della necessità di canzoni come “In Italia 2024”, di Fabri Fibra con Emma e Baby Gang. Uscita il 25 febbraio, non è soltanto la ripresa di quella originale del 2007, scritta dallo stesso rapper e ripubblicata l’anno dopo col featuring di Gianna Nannini, ma nelle parole nuove ha qualcosa di tristemente profetico; come se avessero il presentimento di quell’azione violenta delle forze di polizia su un gruppo di liceali pisani che manifestavano per la pace palestinese.
Indice dei contenuti
La prima strofa
In Italia, non è cambiato granché dai versi della prima strofa (Dove fuggi? In Italia Pistole e macchine in Italia Machiavelli e Foscolo in Italia I campioni del mondo sono in Italia Benvenuto in Italia Fatti una vacanza al mare in Italia Meglio non farsi operare in Italia E non andare all’ospedale in Italia La bella vita in Italia Le grandi serate e i gala in Italia Fai affari con la mala in Italia Il vicino che ti spara in Italia”), rimasta identica e bruciante nella neonata versione.
Anzi, a quasi vent’anni di distanza, i cancri civili e sociali del nostro Paese sembrano aver succhiato ulteriore linfa da nuove insopportabili contraddizioni. Da un lato, il lusso ostentato e la ricchezza, segni esibiti di un’opulenza tutta italiana (“Dove fuggi? Dall’Italia Elegante, borsa Gucci dall’Italia Ferrari e Lamborghini dall’Italia”); dall’altro lato, la mancata integrazione razziale, nonostante l’attivazione di programmi e progetti improntati alla multiculturalità.
Quanto conta l’andamento della politica attuale in tutto questo? Un corso che sfrutta tanto la pancia delle persone e processa poco o niente il cambiamento reale (“È pieno di magrebini in Italia, come? Fascisti e razzisti al comando in Italia Ti accendi una canna, puoi finire in una gabbia Prendi una condanna che non vedi più tua mamma”).
La durezza della seconda strofa
La seconda strofa del 2008 si compone di un testo “moderato” (“Dove fuggi? In Italia I veri mafiosi sono in Italia I più pericolosi sono in Italia Le ragazze nella strada in Italia Mangi pasta fatta in casa in Italia Poi ti entrano i ladri in casa in Italia Non trovi un lavoro fisso in Italia Ma baci il crocifisso in Italia”) rispetto all’incisività pungente del 2024, che apre uno squarcio su altre verità (“Dal 2024 al 2040 Non è Chicago né Atlanta, ma siamo in Italia Paese dei corrotti e della mafia Dove i tuoi soldi non sono sicuri in banca Perché da un giorno all’altro possono finire in tasca Non è Renato Vallanzasca che intasca Ma qua chi ci rapina sta in giacca e cravatta Lo Stato ci discrimina soltanto per la faccia Lo sanno che una penna può far più male di un’arma”).
La retorica della prima volta, dal taglio nazionale (“Dove fuggi? In Italia Le ragazze corteggiate in Italia Le donne fotografate in Italia Le modelle ricattate in Italia Impara l’arte in Italia Gente che legge le carte in Italia Assassini mai scoperti in Italia Voti persi e voti certi in Italia”), si pone relazione con i fatti di guerra internazionale (“Dove fuggi? C’è una guerra ogni giorno al telegiornale”); con l’invidia sociale (“Se fai soldi in Italia, c’hai contro tutti Scendi in strada con gli amici a festeggiare”) e la violenza nei luoghi che dovrebbero garantire la “legalità”. Così, la citazione del caso di Stefano Cucchi, morto per le percosse subite in carcere dalla polizia, si accosta al dramma appena consumatosi a Pisa (“Mani in alto o puoi finire come Cucchi”), diventando simbolo di un’Italia impietosa e bastarda.
L’artista in Italia non naviga in acque migliori, oggi. Vivere di arte significa prendere parte a un “gioco” di guerra, fatto di soprusi e mirato a distruggere l’altro; può significare assistere a uno spargimento di sangue creativo e a una costante deprivazione emotiva; significa esporsi al rischio di bruciarsi in un sistema mediatico senza limiti, ancora prima di concretizzare un percorso di ricerca personale.
Lo sguardo sconsolato al futuro
In chiusura di strofa, l’impossibilità di affrancarsi da un tale sistema che pare ineluttabile e immodificabile (“Per l’industria c’ho una mente militare Metal Jacket, sembra un film di Stanley Kubrick Dimmi ancora quante rime devo fare Per sentirmi dire: “Sei speciale” Quante rime devo fare per non finire a un talent Per non rubare, non spacciare, non sparare Perdo la fede, è un reato federale Peggio la rete o finire nelle retate? Nelle mani sbagliate, altolà, Tortora Una pioggia di lacrime color porpora Qui brucia la speranza, quindi, bro, soffoca Sei nato e morto qua, nato qua e morto qua”).
Ma, in fondo, un sogno resta tale, anche nel “nel Paese delle mezze verità”, e fuggire funziona solo se si è consapevoli che partire vuol dire anche “morire” dove si è nati. Diversamente, canta Fibra nel 2008, “uno dei miei sogni era stato quello di rimanere nella mia terra, raccontarla, e continuare, come dire, a resistere”. Esattamente, come molti di noi, che ancora credono nella prospettiva di resistere in Italia, magari con un modo di esistere non più “all’italiana”.
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