Analisi sul successo della serie dedicata agli 883 andata in onda su Sky e Now
Sono risultati straordinari quelli raccolti da “Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883“, dal debutto record delle prime due puntate fino alla crescita continua nelle altre tre settimane di messa in onda. La miniserie televisiva che racconta gli esordi del duo fondato da Max Pezzali e Mauro Repetto, diretta da Sidney Sibilla e con protagonisti Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, ha tenuto una media di oltre un milione di spettatori, grazie a cui è diventata la serie Sky più vista di sempre, spodestando “Gomorra” dal trono.
Un successo non solo televisivo ma anche musicale, visto che il traino della serie ha riportato la musica degli 883 nelle classifiche. Questa settimana, nella classifica FIMI, ci sono ben tre album della band in Top50 (il più alto è “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” al trentesimo posto), ma a sorprendere di più sono i risultati su Spotify, dove gli 883 sono balzati fino al ventesimo posto della classifica degli artisti più ascoltati sulla piattaforma, hanno tutti i loro progetti in quella degli album più ascoltati e “Come mai” è arrivata addirittura al 63esimo posto della Top200 giornaliera dei singoli.
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L’elogio della normalità e l’amicizia che completa
E questo ci dice di una serie all’inizio pensata per i nostalgici degli anni ’90, ma che poi ha saputo conquistare anche le nuove generazioni grazie a un elemento fondamentale: l’elogio della normalità. I due protagonisti sono uguali a tanti ragazzi di oggi e di ieri, con le loro passioni, con le loro aspirazioni, con un libro bianco ancora tutto da scrivere e la voglia di conquistare il mondo, in una storia che si fa quindi universale e sa travalicare ogni confine generazionale.
Ci riportano alla semplicità di un incontro tra compagni di banco che in qualche modo ci completa, in uno sviluppo che racconta, giustamente, Pezzali come la vera anima degli 883, ma che dà i giusti meriti anche a Repetto, contribuendo a modificarne l’immaginario pubblico. Il “biondino che balla” ora emerge come colui che ha dato fuoco alla miccia: senza il suo entusiasmo, la sua spinta, la sua ostinazione, forse non avremmo mai avuto gli 883.
È lui che, all’inizio, cerca ogni aggancio possibile per proporre i suoi mixtape da deejay ma poi, davanti all’occasione giusta, preferisce far ascoltare una canzone dell’amico. Ed è sempre lui a inviare a Radio Deejay la cassetta contenente la registrazione di “Non me la menare“, che Claudio Cecchetto trasformerà poi nel primo successo radiofonico degli 883. Perché Repetto era l’eterno incompiuto che sapeva di avere talento ma non aveva ancora capito dove investirlo, e gli mancava sempre quel qualcosa che ha poi trovato proprio nella sua amicizia con Pezzali.
Protagonisti umani e vicini a noi
L’elogio della normalità passa, infatti, anche dall’accettazione della mediocrità e del fallimento, e questo ci fa empatizzare con i protagonisti perché li rende umani e vicini. La serie inizia con Max bocciato alle superiori e costretto, per tutta l’estate successiva, a seguire le orme del padre fiorista in una vita di provincia noiosa, monotona e senza grandi stimoli. Si appassiona di musica, ma i genitori non lo incoraggiano e sottovalutano il suo talento. Si innamora di Silvia, è per lei che scrive la sua prima canzone, ma lei considera inizialmente il loro rapporto solo superficiale, si fidanza con il ragazzo più popolare della scuola e quella “canzone per Silvia” non la ascolterà neanche.
E questo senso di inadeguatezza non lo abbandona anche quando, insieme al suo amico Mauro, le cose iniziano a cambiare: i primi live in “posti di m***a” dove nessuno li considera, le loro canzoni che iniziano a sentirsi in radio ma la stampa che non li cerca per interviste e servizi sui giornali, i lavori sul primo disco fermati perché, all’inizio, Cecchetto trova limitante quel loro parlare di una vita semplice e di provincia che, invece, si trasformerà poi in una fortuna, e perché mancava una canzone che potesse dare il titolo al progetto.
Popstar che si sentono atipiche e fuori contesto
L’album poi esce ma senza una loro foto in copertina perché non risultano fotogenici, vendono più degli U2, Elton John, Freddie Mercury e Michael Jackson ma nessuno li conosce, vogliono andare al Festivalbar ma vengono presentati al contesto ormai quasi del tutto ignorato del Cantagiro, non riescono a fare concerti perché è lo stesso Cecchetto a considerarli come ottimi musicisti, bravissimi a scrivere pezzi pazzeschi ma “dal vivo impresentabili“, limitati anche dal fatto che Repetto, durante le prime esibizioni, non riesce a trovare un proprio ruolo sul palco (“Se non canto, cosa faccio?“).
Sono popstar atipiche e questo sentirsi fuori contesto li accompagna anche quando la loro crescita si porta con sè una resa live diversa, con la consacrazione del concerto all’Acquafan davanti a 20 mila persone che loro vorrebbero però rimandare perché pensano di non essere pronti. Un continuo convivere con l’incertezza che non li lascia anche nel finale della serie, con Pezzali intento a riprendere quella “canzone per Silvia“, diventata nel frattempo “Come mai“, per iniziare i lavori sul secondo album cercando, quindi, una strada più cantautorale, e Repetto che gli dice: “Max, ma io questa come la ballo?“, anticipando le incomprensioni tra i due che iniziano a non sentirsi più sintonizzati sulle stesse frequenze.
Una favola raccontata in un’epoca di grande disillusione
“Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883” è arrivata in un’attualità di grande disillusione per raccontare un successo inaspettato, frutto di una grande ostinazione che ha portato questi due ragazzi a trovare la giusta spinta che li ha portati oltre la loro modesta condizione, chiudendosi in studio per tirare fuori “un pezzone che, anche tra vent’anni, la gente se lo ricorda“.
È stata la canzone della svolta, quella “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” che parla della “fine dei sogni, di chi non ce l’ha più fatta a continuare a sognare, ma anche di chi non si arrende e se ne frega di chi gli dice ciò che dovrebbe essere“. È l’insegnamento più grande di questa serie: ognuno può provare a scrivere la propria favola. Ed ecco perché ce ne siamo innamorati.
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