Polo territoriale

Polo territoriale: «La musica ci aiuta a concretizzare le nostre emozioni» – INTERVISTA

Dimmi è l’album d’esordio del Polo Territoriale, dieci tracce che parlano alla nuova generazione

Dimmi‘ è il titolo del nuovo album del Polo Territoriale. Dieci tracce che riassumono i primi cinque anni di attività del gruppo. Si parte da sonorità pop più energiche fino a brani alternative rock più grezzi e introspettivi. Un album che esplora i temi dell’amore giovanile e dell’abuso di sostanze, dieci tracce che, in un percorso ben strutturato, accompagnano l’ascoltatore in argomenti delicati come i disturbi mentali. Un focus sulle difficoltà e gli inciampi che rendono l’adolescenza un cammino intenso e a volte accidentato. L’intero lavoro, per intensità dei temi trattati, è stato realizzato anche grazie al contributo del Ministero della Cultura e della SIAE nell’ambito del programma ‘Per chi crea’. Sento al telefono Talea, cantante e chitarrista del gruppo, per farmi raccontare com’è avvenuta la realizzazione di questo intenso lavoro discografico.

Ciao Talea, ‘Dimmi‘ è il brano che dà il titolo all’intero lavoro discografico, dieci tracce intense, come mai dà il titolo all’intero lavoro discografico?

«Questo disco è il riassunto del nostro primo periodo, ogni canzone è un ricordo diverso, una storia diversa. Ci piace pensare che dentro ci sia un po’ di tutto, è la genuina esemplificazione dei nostri primi passi di maturazione artistica. ‘Dimmi’ è una delle prime canzoni dei Polo, la cosa strana è che l’abbiamo ritrovata tra le mille cose fatte, nessuno di noi ricorda perché sia finita nel dimenticatoio. L’abbiamo riascoltata per caso, la melodia c’è rimasta in testa, l’abbiamo riarrangiata. Abbiamo anche provato a riscriverla, ma non funzionava, quindi, dopo diversi tentativi alla fine abbiamo deciso di lasciarla così come l’avevamo ritrovata: due strofe seguite da una parte strumentale. Da qui la scelta di lasciarla 1′ e 56”».

Da quale idea nasce questa canzone?

«Questo brano nasce come una disperata richiesta di risposte, è la richiesta di dialogo. Ci poniamo spesso molte domande, domande alle quali non riusciamo a dare una risposta, ci sono cose nella vita che non c’è dato sapere. Non è una canzone che parla di un tema specifico. È una domanda, ci si chiede sul perché capita che non venga ricambiato un sentimento d’amore. Viene citata la Norvegia che per noi, nei nostri testi è un luogo ricorrente, è un luogo figurato. È una sorta di posto ideale dove ritrovare la quiete. Questa canzone è il racconto di disagio generazionale, è un invito a parlare ad aprirsi per cercare di capire come funziona il mondo».

Questo è un disco che contiene dieci tracce, ce n’è una a cui siete particolarmente legati?

«Le dieci tracce fanno parte del nostro percorso artistico, non sono state inserite nell’album in modo cronologico. Berlino, che è il brano che chiude l’album è stata scritta, questa sì, per ultima, ma ad esempio ‘BreBeMi’, che apre l’Lp è stata scritta poco prima. Le abbiamo inserite seguendo un ordine tematico e per certi versi un ordine di sonorità. Partiamo da pezzi più leggeri come ‘BreBeMi’, che crea il contesto di una Brescia giovanile, più si va avanti nell’ascolto, più vengono fuori le tematiche.. Ci si avvicina a un lato più oscuro, più introspettivo, una di queste è ‘Grigio cemento’ per poi finire appunto con ‘Berlino’ che ha una lunga parte strumentale, questa l’abbiamo sempre concepita come conclusione del nostro lavoro».

Qual è stato finora il commento che avete ricevuto che vi ha più spiazzato? Qualcosa che non vi aspettavate di sentire?

«Il commento più interessante è stato quando ci hanno detto “si sente che questo disco è una lettera d’amore nei confronti di questa generazione!”. Questa cosa ci ha stupito perché abbiamo scritto queste canzoni con l’idea di raccontare, di descrivere una situazione che viviamo che non viene vista in modo positivo, mi ci rispecchia per come l’abbiamo vissuta. Quindi la scrittura è scaturita da un’insofferenza, da una denuncia, che però è stata letta, e questo ci fa piacere, come una presa di distanza da come vanno le cose. Noi non cerchiamo grandi verità, vorremmo essere solo quattro cantastorie un po’ scanzonati e giramondo che nella maniera più genuina possibile ricordano qualche piccolo scorcio di vita vissuta e cercano un dialogo con gli altri, con noi stessi… non ha molta importanza, importa più quello che sente la gente quando ascolta la nostra musica».

Qual è il tema che vi sta particolarmente a cuore? Qual è la preoccupazione maggiore per i ragazzi come voi?

«Sicuramente la sensibilizzazione ai disturbi mentali che vengono ampiamente trascurati, va sempre prestato ascolto, bisogna cercare di stare più a fondo nelle cose. Ciò che temo è la velocità alla quale si va oggi. Temo che questa mancanza di tempo, questa velocità, possa portare le persone più fragili verso l’abuso di sostanze. Il mondo corre velocemente, la preoccupazione è quella di rimanere fuori, vedo tanta negatività nella velocità, non per fare la guerra al capitalismo. Vedo il valore dei rapporti umani diminuire sempre di più, mi sento sempre più distaccato dalla realtà. Perdere la consapevolezza di quello che sto facendo, tanti ragazzi si stanno staccando dalla realtà».

Che ruolo può avere, in questo contesto che descrivi, la musica?

«In tempi come questi la musica è fondamentale, ci aiuta a concretizzare le nostre emozioni, in un modo o nell’altro andare in Norvegia è un viaggio in un luogo d’evasione. Abbiamo scelto la Norvegia come luogo ideale perché l’ha sempre amata il mio bassista, Pablo, è uno dei paesi più sviluppati, è vero, hanno anche loro dei problemi, ad esempio è altissimo il tasso dei suicidi, ma ci piaceva come luogo ideale dove non siamo mai stati».

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.