Lorenzo Dipas pubblica ‘Art café‘
‘Art café‘ è il nuovo album dell’artista abruzzese Lorenzo Dipas. Undici tracce che sono il racconto di un viaggio pittoresco di una notte di provincia che parte dall’Art Café. Il protagonista è con gli amici e brinda, parla di amori finiti col barman, ironizza sulla vita nella baraonda della serata. Con l’arrivo della notte, tornando a casa, una sigaretta fumata su un balcone guardando gente, marciapiedi, gatti che passano, ispira riflessioni fino all’alba. Ho sentito Lorenzo per farmi raccontare com’è nato questo lavoro discografico e per farmi raccontare qual è il suo modo di fare musica.
Ciao Lorenzo, come stai? Intanto complimenti per questo lavoro discografico fatto di immagini, sembra un film, com’è nata l’idea?
«L’idea del disco è nata dopo che ho scritto il brano ‘Art Café’, è un brano che mi piace molto, ho pensato che potesse essere un cardine attorno al quale costruire un album fatto di immagini e atmosfere evocative di un certo tipo. In ogni caso in generale tendo spesso a scrivere per immagini, forse perché devo vedere le cose per poterle descrivere».
C’è una ricerca, interessante il filo conduttore, il titolo dell’album ‘Art café’, e non ultima la parte grafica. Come hai curato tutti questi aspetti?
«Ti dirò, con tanta pazienza, è stato un lavoro al quale ho dato tutto quello che avevo, sia in termini artistici che energetici. Come sempre man mano che sviluppavo il disco cominciavo ad avere una visione anche della parte grafica, che pian piano ha preso una direzione ben precisa: quello dei fumetti mi sembrava uno stile narrativo interessante, originale e assolutamente attinente col tono irriverente e ironico di molte canzoni. Non so se e quanto lo perseguirò nei prossimi lavori, ma qui ho cercato di portarlo avanti dall’uscita del primo singolo fino all’album».
All’interno dell’album c’è un brano preferito? E ti chiedo, qual è il tuo modo di scrivere in genere una canzone?
«Sarebbe come chiedere ad un genitore se ha un figlio preferito. E se fosse onesto ti direbbe anche che si, spesso ci può essere un figlio preferito. In questo caso più che preferito ci sono brani che credo siano più a fuoco ed in questi io metterei ‘Art Café’ e ‘La notte’. In genere non ho un modo preciso per scrivere una canzone, ma sicuramente so che, quando passo dallo strimpellare allo scrivere deve già esserci un germe (una melodia, una frase, un hoc) dal quale srotolare l’intero brano portando avanti, di pari passo, sia musica che testo».
Da architetto chiedo all’ingegnere: in che modo hai portato il tuo essere ingegnere a fare musica?
«Diciamo che il fare musica, in me, ha un’origine molto più ancorata ad una dimensione adolescenziale: ho iniziato a suonare a sedici anni. Se poi penso allo scrivere testi, filastrocche ecc. anche prima. Ingegnere, lo dico con molta sincerità, mi ci sono quasi ritrovato per una questione lavorativa e di futuro. A 19 anni, non avendo mai studiato musica, ho convenuto con i miei genitori che avrei messo i piedi per terra ed avrei continuato a fare musica come una passione iscrivendomi a ingegneria. Col tempo, ironia della sorte, invece di alleggerirsi questa passione è diventata sempre più forte. Oggi uso il lavoro per mantenermi e per mantenere questa passione in vita più che mai. Se posso però spezzare una lancia a favore, l’ingegneria ti forma molto il carattere e l’approccio razionale alle cose. Spesso uso questo tipo di approccio in tutte le fasi organizzative e più metodiche delle pubblicazioni. Devo dire che mi aiuta molto a fare ordine».
Perché ti definisci il “cantautore degli ultimi”?
«In realtà non mi sono mai definito così, il fatto è che a me interessa descrivere nelle canzoni il disincanto degli ultimi. Mi interessa e mi emoziona tutto ciò che in qualche modo è legato ad una sconfitta, ad un fallimento. Nella vittoria raramente trovo qualcosa di interessante, forse perché mi capita spesso, nei momenti di sconforto, di sentirmi anch’io un perdente».
Qual è la canzone del repertorio italiano che senti tua e che avresti voluto scrivere?
«La butto lì: ‘Ogni volta’ di Vasco Rossi».
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