Giulia Mei Bandiera

Da X-Factor alla vetta nella Viral di Spotify: “Bandiera” di Giulia Mei è la hit necessaria

La viralità della canzone presentata da Giulia Mei alle audizioni di X-Factor è la miglior risposta al dissing che coinvolge Tony Effe, Fedez e Nicky Savage

Un’attenzione simile per un inedito presentato durante le audizioni di X-Factor non si vedeva dal 2018 – anno della partecipazione di Anastasio con “La fine del mondo” e di Martina Attili con “Cherofobia” – e questo rende ancora di più l’idea di quanto sia clamoroso quello che sta succedendo a Giulia Mei con la sua “Bandiera“, balzata al primo posto della classifica dei brani più virali del momento su Spotify dove, nel giro di pochi giorni, ha superato i 100 mila stream ed è in continua crescita (solo ieri ne ha raccolti oltre 30 mila), rivelandosi come una hit necessaria in questo preciso momento storico.

Successo arrivato proprio nei giorni di un dissing che svilisce le donne

Ironia della sorte, il successo di “Bandiera” arriva, infatti, proprio nei giorni del dissing che ha coinvolto Tony Effe, Fedez e Niky Savage, in cui l’immagine della donna è stata svilita in particolare dall’ex Dark Polo Gang che, oltre all’aggressività di versi come “c’ho le mani pesanti, schiaffeggio la tua tr*ia“, ha lanciato il guanto di sfida colpendo l’ex moglie di Fedez, Chiara Ferragni, con allusioni sessuali (“Chiara dice che mi adora, dice che non vedeva l’ora“) e l’attuale compagna di Niky Savage, Roberta Carluccio, descritta come carne da “passarsi” tra trapper (“Ho sc*pato la tua bitch, dopo l’ho passata a Sfera, dopo Boro, dopo Shiva“).

E le risposte dei due colleghi non si sono tanto distaccate da questa attitudine, andando a denigrare donne che sono in qualche modo legate a Tony Effe, come Chiara Biasi, Vittoria Ceretti e l’attuale fidanzata Giulia De Lellis. Un quadro in cui la donna viene considerata alla stregua di un oggetto, un’arma da utilizzare in un conflitto, un mezzo per dileggiare la controparte. Non a caso, Tony Effe rivolge a Fedez l’aggettivo “isterica” coniato al femminile, come se solo le donne possano esserlo,  e utilizza a mò di insulto il verso “ti vesti da donna“, perchè essere avvicinati a qualcosa di femminile è il peggior insulto per il finto gangster di strada ignorante e retrogrado.

Giulia Mei canta per le donne che vivono con l’inganno di essere libere, ma che libere non sono

In questa cornice, “Bandiera” diventa, così, la miglior risposta possibile. Giulia Mei canta per le donne che vivono con l’inganno di essere libere, ma che libere non sono. E lo vediamo da questi esempi che parlano di figure femminili giudicate, umiliate, subordinate all’uomo e vittime di violenza verbale e psicologica. È uno sfogo personale, il suo, partito dalla sensazione di tornare una sera a casa non sentendosi al sicuro (“Libera, voglio essere libera, di uscire la sera, tornare da sola, senza la paura persino del tipo della spazzatura“) che apre alla riflessione su quante altre libertà vengono negate a una donna.

Giulia canta, così, contro tutti gli stereotipi figli di una società patriarcale. Canta per chi considera l’invecchiamento come una colpa e vorrebbe, invece, sentirsi libera “di fare un figlio anche a 40 anni” o di “amare un uomo con dieci anni in meno” senza essere giudicata. Si rivolge a chi vive la propria sessualità come uno stigma e vorrebbe magari “fare l’amore, girare un porno, cambiare letto pure ogni giorno” senza essere umiliata. Pensa a chi si sente oppressa dai paternalismi dei “timorati figli di Dio che sputano merda e premono invio” giudicando una donna dal modo in cui mostra il proprio corpo, e a chi vive con la paura di essere “massacrata da un criminale“.

Proposta figlia del cantautorato che parla all’umanità in generale

Questa canzone emerge come un inno, che non parla però solo alle donne. Parla, in generale, a un’umanità che non è libera, condizionata da diritti negati, paure, abusi, conflitti e giudizi altrui. “Bandiera” fotografa l’attualità come facevano i grandi cantastorie del passato e, in questo senso, è evidente ritrovare quelli che sono i modelli della cantautrice palermitana.

Risulta, infatti, nitido il gusto, tutto figlio di Fabrizio De Andrè, nel proporre un’invettiva che sa essere anche ironica e provocatoria, in particolare nel mantra “della mia f*ca faró una bandiera che brillerà nella notte nera“. E i riferimenti al cantautore genovese risultano evidenti anche nella ritmica, nello scandire le strofe e nell’intenzione vocale pensata per dare molto peso alle parole.

L’incipit “libera, voglio essere libera” richiama, invece, al Giorgio Gaber de “La libertà” che cantava “voglio essere libero, libero come un uomo“, quasi a voler dare una rilettura su come, oltre 50 anni dopo, non sia cambiato nulla e la libertà non sia ancora un diritto garantito a tutti. Giulia prende ciò che le piace, ciò che ha studiato, ciò che ha imparato e lo ripropone con un gusto molto personale, che guarda al passato portandolo però nell’attualità.

Il successo di “Bandiera” ci parla di una voglia, da parte del pubblico, di andare anche oltre le tendenze

Bandiera” era già disponibile per le radio e su tutte le piattaforme digitali da quasi un anno (pubblicata lo scorso 23 novembre 2023, proprio a ridosso della giornata internazionale contro la violenza sulle donne), ma viene notata solo oggi grazie alla visibilità di X-Factor. E questo ci dimostra uno dei tanti problemi del nostro attuale mercato musicale: ci sono abissi bellissimi, ricchi di talento, coraggio, autenticità, eppure nelle zone più accessibili si trova quasi sempre un pescato inquinato e, per trovare proposte interessanti, bisogna spesso ricorrere ai sommozzatori.

L’accoglienza riservata a una proposta così lontana, sia a livello di messaggio che di contenuto e scrittura, dalla dilagante superficialità richiesta dall’attualità discografica ci dice proprio come ci sia tanta gente che ha voglia di scoprire, andare al di là delle tendenze, ritrovare il cantautorato e quella ineguagliabile capacità di far riflettere. Le belle canzoni possono ancora essere apprezzate. Basta proporle e, soprattutto, riservargli la giusta visibilità.

Classe '92, il sogno della scrittura l'ho lasciato per troppo tempo chiuso in un cassetto definitivamente riaperto grazie a Kekko dei Modà, il primo artista ad essersi accorto di me e a convincermi che questa è la strada che devo percorrere. Per descrivere il mio modo di raccontare la musica utilizzo le parole che mi ha detto una giovane cantautrice, Joey Noir: "Grazie per aver acceso la luce su di me quando si sono spenti i riflettori". Non faccio distinzioni tra la musica che è sotto i riflettori e quella che invece non lo è, perchè l'unica vera differenza dovrebbe essere tra musica fatta bene e musica fatta male.