Recensione del nuovo singolo di Ermal Meta, pubblicato lo scorso 3 gennaio e aggiunto alla tracklist dell’album “Buona fortuna“
Il campione che “non la passa mai“: è questa l’immagine più importante del nuovo, azzeccatissimo, singolo di Ermal Meta, intitolato appunto “Il campione” e disponibile, dallo scorso 3 gennaio, in radio e su tutte le piattaforme digitali, come aggiunta alla tracklist di “Buona fortuna“, progetto che il cantautore porterà in tour nei teatri tra pochi mesi e che acquista, quindi, una riflessione sulla vita sviluppata attraverso una metafora calcistica.
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Metafora calcistica che diventa fotografia di un’epoca
Il fantasista che cerca di vincere la partita da solo e che insegue, a tutti i costi, la giocata ad effetto non è altro che lo specchio dei nostri tempi, in cui l’individualismo prevale sulla collettività e l’egoismo sulla generosità. È un’epoca, la nostra, che vede il senso di vicinanza e i sentimenti più semplici messi da parte davanti al cinismo e diventa, quindi, inevitabile guardare, con nostalgia, alla genuinità della nostra infanzia, “quando da bambini si giocava per strada e senza chiedersi perché la vita passava“.
Guardarsi indietro significa guardare anche all’iniziale convinzione di poter diventare “un’eccezione“, di essere tutti unici e speciali per poi capire che, in realtà, “siamo sempre stati regole, regole da imparare bene“. Non siamo fantasisti, siamo come quei mediani che cantava Ligabue: “Una vita da mediano a recuperar palloni, nato senza i piedi buoni, lavorare sui polmoni. Una vita da mediano, con dei compiti precisi, a coprire certe zone, a giocare generosi“.
Invito a tutelare la parte di noi che conserviamo nelle canzoni della nostra vita
Un’accettazione della normalità che passa anche dal trovare un appoggio esterno, con Ermal che ci suggerisce di individuarlo nella musica perchè “dentro ad ogni delusione ci trovi una canzone, e alla fine pure una ferita ti lascia un’emozione“. L’invito è a tutelare quella parte di noi che conserviamo nelle canzoni della nostra vita, con la consapevolezza che non rappresentano la nostra salvezza ma ci accompagnano sempre, e comunque, nel quotidiano.
Non è un caso che nei primi due ritornelli si canti “E forse è vero sai che tutte ‘ste canzoni non ci salveranno mai“, mentre nell’ultimo la sostituzione di un verbo cambi completamente il senso della frase: “E forse è vero sai che tutte ‘ste canzoni non ci lasceranno mai“. La musica emerge come un antidoto alla “paura di rimanere soli” e diventa un mezzo per raggiungere la serenità in un’epoca in cui si preferisce inseguire una felicità solo apparente che ci rende “collezionisti di foto felici con gli occhi tristi“.
In conclusione
Proseguendo sulla metafora calcistica, “Il campione” ci mostra un Ermal Meta nel ruolo del regista davanti alla difesa che gestisce il gioco, che detta i tempi e che, soprattutto, con il suo saper tenere palla, difende la squadra dalla pressione avversaria. Ciò da cui ci difende Ermal è un’attualità musicale in cui le canzoni sono considerate solo come un mero intrattenimento usa e getta e lui si pone, quindi, controcorrente, invitandoci a rimetterle al centro delle nostre vite.
“Il campione” difende la bellezza del cantautorato, la possibilità di trasmettere messaggi con la propria proposta musicale, la missione di arrivare a diverse generazioni e tutto questo rientra anche nella scelta dei suoni, con una melodia solenne che si fa manifesto di una canzone in grado di poter raggiungere l’eternità, che è quello a cui devono puntare i veri campioni della musica. Come Ermal Meta.
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