‘Anni luce‘ è il secondo singolo estratto che anticipa ‘Big bang‘, il dodicesimo disco in studio del musicista partenopeo
‘Anni luce‘ è il nuovo singolo di Joe Barbieri che anticipa l’uscita del nuovo album l’11 aprile e il nuovo tour che debutta il 7 maggio al Teatro Acacia di Napoli. ‘Anni luce‘ ha un testo ispirato e potente, Joe con la sua voce esplora oltre tre ottave per poterlo cantare, con una grazia e una maestria che solo artisti del suo calibro possono fare. Il brano è arricchito dalla presenza preziosa degli archi che in questo contesto diventano come un urlo. Joe Barbieri è un’affascinante anomalia, un outsider che al di fuori del binario dell’industria si è saputo costruire un percorso personale e che è riuscito nel raro esercizio di convogliare il genuino apprezzamento di colleghi, critica e pubblico. Sento Joe per farmi raccontare com’è nato questo brano e cosa ci dobbiamo aspettare dal nuovo lavoro discografico.
Ciao Joe, come stai? Cosa ci vuoi raccontare con “Anni luce”? Com’è nata?
«Sono a lavoro per il nuovo tour che parte a maggio. ‘Anni luce’ è nata in modo straordinario, sai ci sono canzoni che arrivano al mondo con sotto braccio, una luce propria. È come se ad averle scritte non si avesse alcun merito, la sensazione è chiara: erano già così, un’entità completa già altrove in un’altra dimensione. Tu non hai fatto altro che favorire un certo passaggio di forma. Mi sono sentito come un’ostetrica, tutto qui; ascoltarla mi lascia ogni volta emozionato e stupefatto, come avessi ricevuto un regalo che non mi aspettavo, come un abbraccio.»
Le tue canzoni hanno un valore straordinario, sono fuori dal tempo. Qual è il tempo in cui le collochi?
«Non ti saprei dire, non so collocarle nel tempo, quando scrivo una nuova canzone, non so da dove arriva l’esigenza, è una cosa che non mi succede con tutte le canzoni. Quindi è come se fossero fuori dal tempo, in questo caso è una canzone già compiuta, una canzone di peso, ha una sua densità.»
Due titoli emblematici: “Anni luce” e “Big bang”, cosa ci puoi anticipare del tuo nuovo lavoro discografico? Questo nuovo lavoro ha a che fare con l’astronomia?
«In qualche modo c’entra, sono un blando appassionato di astronomia, seguo pagine, mi documento, compro dei libri, un po’ perché questo spazio infinito mi attrae, lo sconosciuto mi incuriosisce. Questo rapporto tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo che si intrecciano. In questo disco pesco alcuni linguaggi che mi appartengono come ascoltatore, ci sono suoni più elettrici, sono, mi piace definirle, “canzoni canzoni”, avevo bisogno di un disco più liberatorio.»
Esplori tre ottave per poterlo cantare, come possiamo spiegarlo a chi ci legge?
«Non c’è una premeditazione , mi piace la melodia popolare di “fossatiana” memoria, mi piace l’idea di vibrare un crescendo emotivo nel pubblico, spesso mi trovo a scrivere canzoni che partono con un registro basso per poi arrivare a un registro alto. A mio avviso questo modo di scrivere esprime il pensiero, il sentimento del popolo».
Com’è nato il videoclip?
«È come un viaggio che si traduce nell’esperienza di riscoprire la bellezza di guardare le stelle, come se fosse dal giardino di casa. I vasti spazi e il più piccolo granello di sabbia si racchiudono l’uno nell’altro, si rispecchiano, si chiamano reciprocamente. Così come accade tra il vasto stupore di fronte all’infinito e la meraviglia perfetta dell’innamorarsi. Andare lontano, alla fine, non è altro che un ritorno a sé stessi».
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