Non c’è lo show ma, soprattutto, non ci sono le (grandi) canzoni per durare
Si diceva che Carlo Conti per il suo Sanremo 2025 non si sarebbe troppo discostato, in realtà, dal predecessore Amadeus. E, infatti, rimangono i 30 cantanti in gara, i multi-conduttori, il FantaSanremo irreale e stomachevole, la ricerca di qualche grande nome nel cast e, persino, una commistione di generi (sulla carta) che dovrebbe arricchire l’offerta e allargare la platea. In realtà, però, il ritorno sanremese del conduttore toscano presenta più novità di quante ce ne si potesse aspettare.
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Lo show (inesistente) della prima |
Grande ritmo, troppo, persino per Carlo Conti (5). Un ritmo che soffoca lo show (inesistente), annulla totalmente il valore di due co-conduttori d’eccezione (i veri cavalli di razza di un parterre di conduttori improvvisati che vedremo nelle prossime serate) e, a tratti, risulta persino ansiogeno per lo spettatore che non ha il tempo di godere dell’evento. Già, l’evento che Sanremo era tornato ad essere con Amadeus e che Carlo Conti fa di tutto per normalizzare. Gli ascolti (per ora) sorridono anche, grazie, ad una tradizione avviata e consolidata nel quinquennio precedente. C’è, però, da capire per quanto reggeranno e, soprattutto, quanto le canzoni di questa edizione sapranno imporsi nella stessa scala del tempo.
Intanto, però, del passaggio di Antonella Clerici (6) e Gerry Scotti (7) all’Ariston non rimane già più traccia. Due abiti e uno sketch di un minuto con un piatto di pasta è tutto quello che ha potuto fare il volto femminile per eccellenza di Rai Uno che, nel corso della serata, più volte è stata in difficoltà a trovare gli spazi per inserirsi anche solo per una parola. Il conduttore di Canale 5, invece, ha regalato qualche battuta delle sue strappando mezzo sorriso ma si è trattato di troppo poco.
L’irruzione di Jovanotti (5), unico superospite della premiere, invece, poco si capisce. Se Amadeus aveva avuto un grande merito era stato quello di eliminare (più o meno) i superospiti italiani obbligandoli al rischio della gara. Ora, invece, Conti riporta sul palco un (vecchio)big per fargli presentare una canzone inedita che, onestamente, non avrebbe spiccato nemmeno all’interno di un pacchetto di canzoni sottotono come quelle di questa edizione.
Le canzoni tra melodia, forzature e scarsa originalità |
Per quanto concerne le canzoni l’impressione, ad un primo ascolto, è quella di una playlist di brani molto più monocromatica di quanto non sia stata nell’ultimo quinquennio. A Carlo piace la melodia, la tradizione, il cantato. In una parola, piace la canzone sanremese. Certo, la contemporaneità ha lasciato traccia del proprio passaggio qui e lì ma, in definitiva, in questo cast tutti cantano (o provano a cantare) come se avessero tra le mani un gran pezzo, uno di quelli da rendere immortale con l’orchestra e con un impegno di voce e teatralità da grandi occasioni.
Tormentoni pochi, ballate tante. Persino troppe. Troppe perchè il mercato, in realtà, sta da un’altra parte e se è vero che sta tornando il gusto per il classico, Sanremo 2025 lo esaspera esageratamente. Il vero problema, però, sta nel fatto che questo tentativo di ricondurre alla dimensione ballad l’offerta musicale avviene con artisti poco credibili in quei confini e con pochi autori (sempre gli stessi) che tendono a far assomigliare tutto a se stesso. E così Tony Effe canta come Irama, Noemi come Elodie e Achille Lauro come Fedez.
Con gli ascolti, poi, il quadro si dipanerà e l’impressione sarà quella di aver tra le mani comunque qualche pezzo meritevole (e vorrei ben vedere, tra 29 almeno uno ci sarà…). La previsione, però, è che difficilmente in questo mazzo di carte ci sia una nuova ‘Sinceramente’ piuttosto che ‘Tuta gold’, ‘Ma non tutta la vita’ e ‘Click boom!’ capaci di durare per una stagione intera. Staremo a vedere.
Chi ha convinto l’Ariston |
L’Ariston ha speso ben 3 standing ovation (alcune accennate, altre reali) e già questo la dice lunga sulla perdita di sacralità (e severità) a cui quel palco è andato incontro nel corso del tempo. Non che sia un male, beninteso. Di fatto, però, qualcosa vorrà pur dire. E se Simone Cristicchi con la sua “Quando sarai piccola” (9) ha regalato la poesia più suggestiva dell’edizione (che possa funzionare come canzone al di fuori di questo teatro non è di certo facile) candidandosi fortemente ad un bis a distanza di quasi vent’anni da ‘Ti regalerò una rosa’, Giorgia ha dato l’ennesima lezione di canto con una “La cura per me” (8.5) che mette insieme la sua voce classica e regale ad una composizione contemporanea made in Blanco sul finale.
Particolarmente acclamati anche gli “infortunati” Modà che con “Non ti dimentico” (7) tornano a fare, finalmente, la cosa migliore di cui sono capaci: cantare d’amore. Peccato solo che la penna di Kekko abbia perso quella spensieratezza romantica mista ad un pop-rock d’impatto immediato degli esordi per farsi più soffusa, onirica e lenta nelle aperture. Loro, però, fanno loro stessi senza voler per forza copiare uno schema melodico a tutti i costi. I ragazzi sanno cosa fanno semplicemente perchè lo hanno sempre fatto.
Chi convince con la canzone e crescerà |
Crescono le quote di Olly dopo la prima esibizione su “Balorda nostalgia” (8) che suona esattamente come ce la si aspettava (nel senso migliore del termine). Il ragazzo che ha conquistato il pop italiano dell’ultimo anno ha un marchio tutto suo e anche in questa occasione lo si sente con forza nello scrivere e nell’interpretare con visceralità una canzone semplice e lineare ma coinvolgente e, senza ombra di dubbio, la più facile del lotto da far canticchiare alle masse.
L’altra grande conferma è quella di Noemi che dal trio Mahmood-Blanco-Michelangelo trova una delle più classiche canzoni in “Se t’innamori muori” (8+). Il pezzo c’è ma, soprattutto, c’è la sua voce che si libera subito mettendo in mostra orpelli, timbrica e graffiato dimostrando che per fare il pop melodico è necessario avere dalla propria una riconoscibilità vocale impattante oltre ad una canzone adatta. Riconoscibilità che Noemi ha e non esita a dimostrare con un certo orgoglio dopo qualche tempo di gioco alla sottrazione.
Ancora da capire |
Non si è ancora capito quale sia la destinazione di Achille Lauro e “Incoscienti giovani” (7-). Il cantante vuole mantenere la direzione mostrata già con ‘Amore disperato’ per mostrare un lato di sè più maturo ma, questa volta, il pezzo è meno potente ed impattante. Forse crescerà o, forse, rimarrà incompiuto con rammarico di aver sbagliato il brano in un’annata che avrebbe potuto essere quella buona.
Funzionerà in radio certamente la proposta di Rkomi che, però, con “Il ritmo delle cose” (6) vuole comunicare un nuovo sè non ancora del tutto identificabile. I Coma_Cose, invece, vogliono che “Cuoricini” (6) sia un tormentone facile anche a costo di una qualità al ribasso rispetto alle loro ultime interessanti proposte. Anche Willie Peyote fa esattamente ciò che ci si aspetta da lui e risulta limitato quando “Grazie ma no grazie” (5.5) diventa prevedibile nella propria destinazione sia musicale che testuale.
Allo stesso modo Elodie trova nella sua “Dimenticarsi alle 7” (7+) un brano dal gusto deep-house per raccontare l’amore sofferto che non funziona totalmente. Non è né un tormentone dei suoi né una ballata struggente e straziante. Lei mostra un cantato che riscopre le sue doti vocali ma lo fa in un tappeto sonoro che dimostra poco coraggio nello schierarsi apertamente. Alla serie ‘voglio diventare grande ma temo il salto’ appartiene anche la “Fango in paradiso” (6.5) di Francesca Michielin e la “Viva la vita” (7) di Francesco Gabbani. Entrambi guardano al mondo ballad per testimoniare una crescita rispetto agli antichi tormentoni ma non considerano che anche il pop melodico può essere tormentante se si trova quell’inciso capace di entrare in testa fino in fondo.
Le grandi delusioni |
Sfugge la necessità avvertita da Carlo Conti nell’avere nel cast diverse delle presenze salite ieri sera sul palcoscenico. Su tutte, evitabilissima questa Marcella Bella che gioca a fare Loredana Bertè con una “Pelle diamante” (3) che non può essere ‘Pazza’ e che, anzi, non mantiene la tradizione di una quota over funzionale e funzionante nei Festival 2.0 degli ultimi anni. Tra i grandi della musica italiana lascia un po’ l’amaro in bocca Massimo Ranieri che non fa un affare nell’affidarsi alla coppia Nek-Ferro per una “Tra le mani un cuore” (5) troppo pop per essere all’altezza del suo mestiere teatrale.
Molto sottotono anche le presenze di quartiere sia di Rocco Hunt che di Tony Effe. Il primo racconta (ancora) Napoli e la sua giovinezza partenopea in “Mille vote ancora” (4.5) mentre, invece, il secondo compone una dedica a Roma per una “Damme ‘na mano” (4) che, cantata male, risulta straniante, imprudentemente incoerente e inefficace.
A far maggior rumore, probabilmente, è Irama che, neppure con la firma di Blanco, riesce a risultare diverso da sè stesso in una “Lentamente” (5) che ricalca in tutto e per tutto i cliché delle sue proposte sanremesi. Si parla d’amore con un crescendo prolungato ed una voce anacronistica che è tutto fuorché reale per via di un condizionamento eccessivo e totalizzante della distorsione. Peccato perchè il brano è piacevole.
I (brutti) tormentoni |
Da Sanremo vogliono qualche disco di platino sia Gaia che i The Kolors memori dei successi estivi. La prima ci prova con una “Chiamo io chiami tu” (5.5) che ha bisogno dei ballerini per trasferire l’idea di un pezzo destinato a far ballare, i secondi, invece, guardano a Calcutta per diversificare una “Tu con chi fai l’amore” (5+) che altrimenti sarebbe troppo uguale a tutte le loro altre cose.
Spiace ritrovare Rose Villain un passo indietro rispetto alla scorsa stagione con una “Fuorilegge” (5) che sa di stantio (pur con una bella vocalità messa in evidenza in una canzone che, però, non vuole sfruttarla) e di una bomba d’energia inesplosa per via di un ritornello che latita. La medesima situazione è quella di Clara che ha una “Febbre” (6-) del tutto sovrapponibile alla ‘Diamanti grezzi’ dello scorso anno privata, però, del plus della novità. Si sono bruciate troppo le tappe, invece, per Sarah Toscano che avrebbe in “Amarcord” (5.5) un brano funzionale ma pecca di esperienza e personalità per spiccare in un parterre troppo ricco.
I cantautori che funzionano |
Nel panorama pop di chi il pop non lo sa fare pienamente spicca l’autenticità sincera dei cantautori d’oggi. Bresh convince (e crescerà) con la sua “La tana del granchio” (7) come farà anche Brunori Sas che con “L’albero delle noci” (7.5) deve vedersela con la tradizione ingombrante delle canzoni dedicate al rapporto figli-genitori ma che ha dalla sua tanta sostanza. Funziona, a modo proprio, anche Lucio Corsi che con “Volevo essere un duro” (5) non copia nessuno se non sè stesso. Ad alcuni piacerà per il suo essere alternativo e diverso malgrado sia convinzione comune che al di fuori dell’Ariston non possa avere una mediaticità rinnovata.
Funziona, persino, il rap ritrovato di Fedez che, con “Battito” (7-), è potente nel suo messaggio anche se troppo teatrale per certi versi. Bello anche l’omaggio soul del quartetto formato da Shablo feat. Guè, Joshua e Tormento che con “La mia parola” (7) sfuggono dal rischio maggiore di un rap facile e, invece, mettono sul piatto qualità produttiva e compositiva mischiando i generi.
E’ bello anche il mondo mostrato da Joan Thiele con una “Eco” (5.5) che non è, forse, brano da primo ascolto ma che saprà catturare chi avrà la voglia di dargli una possibilità sul lungo periodo. Allo stesso modo la scommessa di Serena Brancale con “Anema e core” (6+) è già vincente.
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