Luca Di Stefano

Luca Di Stefano: «’Undone’ è un invito ad accettare che alcune storie non trovano mai una conclusione» – INTERVISTA

Luca Di Stefano presenta il suo primo inedito: Undone

Undone‘ è il primo brano inedito di Luca Di Stefano, un pezzo dal sound internazionale che lo distingue per unicità e intensità emotiva. La canzone esplora le profondità di un dolore causato da una relazione tossica, dove il protagonista, lacerato da un conflitto interiore, cerca di affrontare una partner più incline a ferirlo che a comprenderlo. Per Luca il canto diventa uno strumento di liberazione, un mezzo per esprimere, ma anche esorcizzare rabbia, frustrazione e tristezza.

Il brano, come racconta nell’intervista, offre molteplici livelli di lettura: può rappresentare la disillusione amorosa universale, un percorso di crescita personale o una critica alle dinamiche di potere e manipolazione spesso presenti nelle relazioni. Il brano è soprattutto un invito a riflettere sulla propria esperienza per trovare la forza di spezzare legami tossici e dannosi, riscoprendo l’importanza di prendersi cura di sé stessi e di proteggere la propria serenità. Sento Luca per farmi raccontare com’è nato questo brano e altri aspetti della sua carriera.

Ciao Luca, come stai? Com’è nato ‘Undone‘ e cosa ci vuoi raccontare con questa canzone?

«Questa canzone è nata due anni fa, poi nel corso del tempo ha preso questa forma. L’idea iniziale era quella di comunicare un messaggio alla mia ex, sono giovane, ma pensa, avevamo vissuto una relazione di otto anni. Al centro non c’è la relazione, né questa ragazza, questa canzone per me rappresenta uno sfogo, ho voluto dare voce alle mie emozioni, parlo di amore a trecentosessanta gradi, parlo di un amore pieno di rabbia, rancore, fatto di emozioni sbagliate. L’amore è un sentimento complesso e affascinante, difficile da definire in modo univoco.

Durante un periodo turbolento della mia vita, segnato da distacchi emotivi e fisici, mi sono ritrovato a riflettere sulle molteplici sfaccettature dell’amore. La rabbia, intensa e viscerale, ha dominato quel periodo, spingendomi a canalizzarla nella musica. È così che sono nate le prime note di Undone: semplici, essenziali, ma capaci di esprimere il tumulto interiore che provavo. Invece di riversare il dolore sull’altra persona, ho scelto di elaborarlo in silenzio, aspettando il momento giusto per dare una risposta sincera.

‘Undone’ non è nata subito, ma ha subito riscritture, cambi di struttura e arrangiamenti, fino a trovare la sua forma finale. Eppure, anche ora, so che rimarrà incompleta, come la vita stessa: un’opera in continua evoluzione. Undone è un riflesso di questa imperfezione, della bellezza che risiede nell’irrisolto, e un invito ad accettare che alcune storie, come le persone, non trovano mai una conclusione definitiva».

A cosa dobbiamo questa voce soul e blues? A quali artisti fai riferimento?

«Intanto a una mia passione per il canto, studio da quando ero piccolo, poi certo, la mia voce è il mio strumento. Non ti nascondo che ho anche dovuto imparare a conviverci, ha tredici anni ho subito questa muta vocale, in un primo momento non l’apprezzavo, poi ho imparato ad utilizzarla nella giusta maniera. Se c’è un artista a cui faccio rifermimento è Bruno Mars, è un artista completo, sa suonare qualsiasi strumento, sa ballare, è un polistrumentista. Se devo pensare ad un artista più recente ti dico che mi piace molto Teddy Swims. In Italia, tolti i pilastri come Franco Battiato o Pino Daniele, che ho avuto modo di studiare in Conservatorio, non saprei chi dirti. Apprezzo molto Serena Brancale, tra le giovani leve mi piace molto Olly».

Qual è il tuo modo di scrivere?

«’Undone’ l’ho scritto io, dal pianoforte, le parole, alla melodia, la composizione è mia, mi piace l’idea di avere pubblicato per primo un brano in italiano, gli altri brani del disco sono in inglese. L’ho fatto in qualche modo anche per i miei genitori, avevano il piacere di capire al primo ascolto il brano e l’ho fatto molto volentieri. Questo brano l’ho scritto due anni fa, poi ha trovato forma dopo tempo, sapevo che poteva avere un potenziale come singolo, poi col produttore Denis Marino abbiamo trovato questa quadra. L’album va a rispecchiare le mie emozioni, per questo amo scrivere le mie canzoni.

È stato un percorso difficile quello di trovare la mia identità, ci sono anche brani di un altro autore, mi è molto piaciuto lavorare sull’interpretazione. Un’altra cosa è quando canti però un brano tuo, a mio avviso sei più credibile. Ho scritto dei brano che mettono in evidenza un discorso complesso, alcune insicurezze di quando ero piccolo, questi brani sono stati anche uno sfogo, una mia personale terapia. Da piccolo ero appassionato di danza, non è facile per un ragazzino coltivare questa passione, mi sentivo denigrato dai miei compagni di classe, dai miei amici. Poi ho smesso per un infortunio e da lì ho colto l’occasione, ho preso la scusa e ho chiuso con la danza.»

Che ricordi hai di te da piccolo? Quand’è stato il momento in cui hai capito che avresti fatto questo per mestiere?

«In realtà quando ho capito questa mia vocazione ero grande, nel 2019. A ‘All together now’ ci sono arrivato grazie alla mia maestra di canto, lei non voleva partecipare, non se la sentiva di affrontare quel palco, così ha scritto tre suoi allievi, io ho superato il turno e sono arrivato alle selezioni in prima serata su Canale 5. Per me è stata una grande opportunità, ho avuto prime collaborazioni di moda con Dolce & Gabbana, sono arrivato in America, il Covid poi ha bloccato il mio sogno americano. Però mi piace avere una visione ottimistica, questa esperienza mi ha fatto capire che ci posso arrivare, magari questo intoppo mi ha dato solo modo di preparami ad affrontare quel momento in maniera più consapevole.

Poi ho avuto una collaborazione con J-Ax. È cominciato quasi tutto per caso e ne sono felice, pensa da piccolo i miei genitori si opponevano all’idea di andare a studiare al Conservatorio, i nostri genitori sognano per i propri figli sicuramente un lavoro più sicuro, un percorso di studi che ti dia maggiori certezze, certo è anche vero che mi hanno fatto studiare, mi hanno sempre supportato. Oggi faccio mille cose, studio contemporaneamente in due Conservatori, giù in Calabria, vado giù tutti i mesi, e qui a Milano. Mi manca poco per laurearmi in canto pop. Qui a Milano ho intrapreso un percorso di studi in canto Jazz, avrei potuto fare solo la specialistica, ma, minuzioso come sono, ho preferito ricominciare dal primo anno per avere una preparazione più completa.»

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.