Michele Bravi come il poeta classico Catullo nel suo ultimo album “Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi“
Una scrittura classica nel senso più letterale del termine che ci accompagna nel diario di questo amore, cercando significati e orientando un “Atlante degli amanti” come in una cartografia del cuore, dove la scoperta più sorprendente è, in realtà, una riscoperta del “ti amo” (“Vorrei solo spogliarti qui adesso E fare l’amore con te Vorrei fare una mappa del tuo corpo Ed indicare un punto a caso Come un bambino fa col mappamondo Ed esplorarlo piano piano”).
Ancora una volta per Michele Bravi, l’offerta è quella di un pop non urlato con piglio adolescenziale né declamato come un panegirico sentimentale, rispolverato, invece, dalle ceneri di un fuoco che sembrava spento.
Di catulliana memoria, il testo di “Odio” (“Quanto ti odio Ti odio, ti odio, ti odio Perché ti amo Ti amo, ti amo, ti amo E più ti guardo e più capisco quanto sei bugiardo E vorrei andarmene ma il punto è che non riesco a farlo E di sicuro con lui lo penso tutte le volte Facevate l’amore per tutta la notte Ma come posso farne a meno Lo vedi che mi sono arreso Però ti odio e non lo nego Perché ti amo pensa quanto sono scemo”) che rimanda alla famosa ode del poeta latino “Odi et amo”, dedicata alla sua Lesbia (“Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato”).
Non è un pop commerciale quello di Bravi
È lo spazio intimo di un’anima che ha cercato a lungo la trama di questo racconto. E, in verità, anche in largo, visto i tanti viaggi documentati dall’artista quando era intento alla fase creativa dell’album. Così, anche l’amore declinato al futuro è un “Viaggio nel tempo” con la persona amata in epoche passate (“Come sarebbe svegliarsi nel futuro Scoprirsi impreparati a tutti quanti i cambiamenti E poi lanciarsi a capofitto nel passato E vedersi con quel vecchio taglio di capelli Immagina noi due nudi in mezzo alla preistoria E che ridere faremmo con parrucche medievali Sbarcare per la prima volta sulla luna E gridare a squarciagola ecco qua l’America Cosa ne pensi di fare un viaggio nel tempo con me E invecchiare insieme in epoche passate Nascere un’altra volta Camminare sopra la memoria del mondo al contrario”).
Che non è mai impresa da poco, specialmente quando è chiara la volontà di riempire di senso il contenuto della ricerca artistica, perfino quando la riflessione si sposta sul punto di vista degli altri, portando Bravi a domandarsi come apparirebbe il suo amore “Se ci guardassero da fuori” (“A me ad esempio fa impazzire l’idea Di assomigliare a due vecchi che vanno al mercato Potremmo assomigliare a dei turisti americani (…) Potremmo sembrare Due schizofrenici in fuga da un manicomio O insopportabili parenti a un matrimonio (…) Potremmo assomigliare a dei cartelli pubblicitari Cosi perfetti così innaturali O più semplicemente passare inosservati”).
Nella canzone, però, poco importa perché resta centrale la percezione dell’artista rispetto alla sua stessa storia (“Ma io ti vedo così chiaramente Che non so più quale impressione il mondo abbia di te Non ti arrabbiare chiedo solamente Che cosa vuoi che io di te non veda Se nascondessi quelle storie che ti porti negli occhi Cosa vedrebbero gli altri al posto dei nostri corpi E io ti vedo più nitidamente Se nascondi gli occhi”).
A tre anni di distanza dall’ultimo disco, è uscito il 12 aprile scorso, “Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi” (di cui qui la nostra recensione), un album di tredici canzoni nate con un desiderio dichiarato dallo stesso artista, “Volevo celebrare la natura della vita interiore”, e pienamente esaudito. Conquista tanto più ammirevole perché tanto sudata, se si considera che l’obiettivo ha trovato realizzazione dopo un lungo blocco creativo del cantante-poeta.
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