Intervista al cantante che presenta il suo nuovo singolo
“Solo” è l’ultimo singolo lanciato da Maname, un artista completo che si divide fra canto e danza. Mattia, vero nome di Maname, è anche un insegnante e uno psicologo molto apprezzato. Lo sento per un’intervista, per farmi raccontare qual è il suo modo di fare musica e come coniuga tutti i suoi interessi facendoli, per l’appunto, diventare canzoni.
Ciao Mattia, come stai? Quando parlo con te non so se mi rivolgo allo psicologo, all’artista o al collega (insegnante, nda). Anche se ho l’impressione che tu riesca a usare la musica come veicolo per tutte le attività di cui ti occupi. La mia domanda è: qual è il mondo che prevale nella tua attività musicale?
«Effettivamente è difficile portare avanti tanti ruoli e tante passioni. Io sto riuscendo a farle coesistere, sicuramente con grande fatica, ma su tutti prevale l’essere artista. l’essere artista ti dà una certa sensibilità e attenzione verso il mondo, un punto di vista differente. Questa cosa mi aiuta sia con il lavoro con i bambini che nell’ascoltare il prossimo e lavorare sul vissuto traumatico. Inoltre, fare musica mi dà la carica in tante situazioni, sapere che posso vivere più vite durante la mia giornata mi offre materiale per scrivere, per raccontarmi e per creare musica. La cosa più soddisfacente a fine giornata, a parte il sapere di aver fatto un buon lavoro come docente e come psicologo, è quello di tornare a casa e scrivere, scrivere e cantare. Al momento, il mio obiettivo è fare musica».
Ho ascoltato i tuoi ultimi lavori, in particolare oggi parliamo di “Solo”. Cosa vuoi esprimere con questa canzone? Qual è il messaggio che vuoi lanciare?
«“Solo” nasce dalla mia estrema fatica nel trovare una partner. Nonostante la mia fatica, comunque è importante non perdere il focus sul prendersi cura e amare noi stessi, prima di poter amare gli altri. Che è la morale che seguo anche io, poiché al giorno d’oggi emergono relazioni molto superficiali, in cui se ami devi per forza concederti al 101%, non esisti tu come singolo, ma esiste un noi. Non è un messaggio del tutto compromettente, ma non lascia piena libertà all’interno della coppia e questo potrebbe condurre a delle separazioni contornate da conflitti disastrosi e conseguenze psicologiche non indifferenti e alla perdita totale del proprio “io”. Anche peggio, risulta vivere con l’idea di un amore fatto solo di sacrifici, in cui io non sono completamente me stesso, ma per il bene della coppia devo andare avanti, facendo finta che questo sia giusto.
Ovviamente, il mio brano non vuole essere così introspettivo, ma è stato scritto sotto forma di propaganda “ballabile”, per lanciare il messaggio “stare solo mi salverà”, cioè sto bene anche da solo, non ho bisogno per forza di una compagna, una moglie o dei figli tutto in una volta per sentirmi socialmente accettato, perché alla fine si parla di questo».
Oggi per lanciare un brano è importante ci sia un video che lo accompagni. Ho visto che in “Solo” ci sono coreografie ed è girato in un luogo speciale, ti va di raccontare com’è nata l’idea di questo video?
«Il video nasce dall’idea di ricreare un contrasto tra sacro e profano. La location è una chiesa sconsacrata di Limbiate, mi piaceva ricreare l’immagine di un matrimonio fallito, e di un dualismo di vedute, infatti c’è un me con l’abito da cerimonia e un me “rapper” più libero e festaiolo. E poi la coreografia finale era d’obbligo, volevo una festa finale con tante persone in stile videoclip americano. Il luogo è anche molto speciale in quanto mi ci esibisco spesso, ed è effettivamente il luogo della mia primissima e più disastrosa esibizione dei tempi dell’asilo, dove ho pianto per tutta la canzone cercando mia madre».
Quindi, tornando al brano, com’è nato “Solo”, hai scritto prima il testo o la melodia?
«In generale, per la scrittura e il taglio che scelgo di dare al brano mi lascio prima guidare dalla musica. Quindi mi ritrovo con il mio producer, costruiamo il beat e poi ci creo sopra un pezzo. Il mio producer è un talento innato e gli devo tutto, perché grazie alla sua maestria e al suo “orecchio” stiamo creando delle cose incredibili che non vedo l’ora di far ascoltare. Parlo poco di lui e forse lo ringrazio anche troppo poco, ma sta contribuendo alla realizzazione del mio sogno e gliene sono davvero grato».
Di solito agli artisti che intervisto per la prima volta chiedo qual è stata la volta in cui hanno capito, anche da piccoli, che questa sarebbe stata la loro strada. Qual è il tuo primo ricordo da piccolo davanti ad un microfono o su un palcoscenico?
«In realtà io ho iniziato come ballerino di ballo “da sala”, alle elementari e poi ho proseguito con danza moderna e hip-hop fino ai 20 anni, nella scuola di ballo di mia madre. Anche lì sapevo di essere destinato allo show business, ma non ho mai avuto lo sprint di studiare ballo e fare quello nella vita. La prima volta in cui ho mostrato il mio talento è stato in terza superiore, i miei compagni insistevano per farmi cantare durante l’intervallo perché avevo iniziato da pochissimo a prendere lezione di canto, ma così per gioco. Quindi sapevo solo Rolling in the Deep di Adele, e quando finii di cantare tutti rimasero a bocca aperta (con conseguente applauso) e da lì pensai, forse sono bravo. Quindi step by step presi più confidenza sul palco e maggiore sicurezza sul fatto che quello era il mio sogno io volevo e dovevo esibirmi».
In che modo pensi di portare in giro la tua musica? Puoi svelarci i tuoi progetti futuri?
«Al momento sto cercando di creare più contenuti, anche per farmi conoscere perché comunque creare due brani e piazzarli non fa di te un artista finito. C’è ancora tantissimo lavoro da fare. Quindi ho deciso di partecipare a un po’ di contest sempre per farmi conoscere, promuovere contenuti musicali sui miei social e tramite vari live, scrivere perché ho dei grossi progetti in cantiere e sperare che la mia musica arrivi il più in là possibile».
Un’ultima domanda, com’è nato il nome Maname?
«Maname nasce dall’unione di MA che sono le iniziali di Mattia e il mio nome d’arte precedente che era troppo lungo e complicato “i think you know my name”. Il messaggio è anche se non mi conosci o non ricordi il mio nome, penso tu sappia chi sono, perché conosci la mia musica, e la mia musica sono io. In più, nello slang americano “my” name, ha più un suono “ma” name».
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