Piccoli cantori di Milano

Laura Marcora, direttrice dei Piccoli cantori di Milano: «Nei bambini c’è un senso di inclusione e collaborazione che supera qualsiasi barriera» – INTERVISTA

Intervista a Laura Marcora, direttrice dei Piccoli cantori di Milano

Da ‘Baby stars’ a ‘Piccoli cantori di Milano’, i 60 anni del coro che ha attraversato la storia della musica italiana. È il 1964 quando la pianista Niny Comolli fonda un coro composto da dieci bambini in occasione di un festival chiamato Ambrogino d’Oro. Un coro che in sessanta anni ha contribuito a colorare la discografia del nostro paese. Tanti gli artisti che hanno chiesto, per le loro incisioni, la presenza dei bambini del coro della musicista Comolli: dal Quartetto Cetra a Sergio Endrigo, passando per Jovanotti, Mina, Adriano Celentano, Gianna Nannini, Massimo Ranieri, Franco Fasano e più di tutti Cristina D’Avena, con la quale i piccoli artisti, nel corso di venticinque anni, hanno inciso più di seicentocinquanta sigle. Sento al telefono Laura Marcora, nipote della fondatrice Niny Comolli, oggi direttrice dei Piccoli Cantori di Milano.

Buona sera Laura Marcora, intanto grazie per questa chiacchierata e tanti auguri per i sessanta anni del coro. Avete fatto trasversalmente la storia della musica italiana. Le chiedo subito, com’è lavorare coi più piccoli?

«Quando ero piccola cantavo in questo coro: è stata un’esperienza importante e formativa. Sono tornata nel coro nel 1985, ho affiancato mia nonna Niny per dieci anni, preferendo il lavoro dietro le quinte piuttosto che sul palcoscenico, poi è stato necessario prendessi il suo posto. Lavorare coi bambini è un’esperienza straordinaria, ma non sempre facile: i bambini hanno un’età compresa tra i quattro ai tredici anni e devono imparare a stare insieme, a condividere il palco, seguire delle regole, ma sempre nel rispetto della loro fanciullezza. È la musica che mi aiuta a tenerli uniti».

Vi ho visto una volta in un concerto all’interno delle estati sforzesche, all’interno del castello sforzesco a Milano, si percepisce una precisione che è straordinaria.

«Mi fa piacere tu lo dica, io sento sempre i difetti. Sono un centinaio i bambini del coro, quando sono con loro sul palco sono come all’interno di una bolla. La priorità del coro è che i bambini vengano alle prove con gioia e siano sereni. Per consentire a tutti di partecipare, le lezioni vengono svolte a gruppi in diverse sedi dislocate sul territorio milanese. Sicuramente unire le voci affinché si canti all’unisono richiede impegno, ma nei bambini c’è un senso di inclusione e collaborazione spontaneo che supera qualsiasi tipo di barriera. Molto spesso vedo nascere amicizie tra bambini di età, cultura, storie diverse, ma che la musica è riuscita a far incontrare: questo è molto bello».

Nel corso degli anni avete collaborato con artisti straordinari, citarli tutti sarebbe impossibile, che ricordo ha dell’evento in cui avete cantato con Michael Jackson?

«E’ stata un’esperienza bellissima, un grande evento, direi storico in Italia. I bambini erano ovviamente molto emozionati».

Tra le tante cose che avete fatto c’è un brano che trovo stupendo che avete inciso per Adriano Celentano: ‘Arrivano gli uomini’, in questo come in altri casi la vostra presenza ha quasi valore di duetto. Che ricordi hai di quella incisione?

«Con un gruppo di bambini abbiamo registrato in uno studio diretti da Fio Zanotti, Adriano Celentano ci ha spiegato quale fosse il senso della canzone ovvero un dialogo tra loro e Celentano. Poi con Celentano abbiamo girato un video di quella canzone».

Tanti bambini nell’arco di sessanta anni, se penso ai ragazzi del Volo, nati da una trasmissione televisiva, c’è qualche bambino che poi ha intrapreso la carriera da solista?

«Molti ragazzi sono passati dal coro, tra cui Norah Jones e James Morrison. Così come tanti bambini che poi, una volta cresciuti, sono rimasti nel mondo dello spettacolo, come Emanuela Pacotto, Simone D’Andrea, Valentina Pallavicino e tanti altri».

Nella vostra carriera avete realizzato i cori nelle canzoni di Cristina D’Avena, citarle tutte è impossibile: ‘La canzone dei puffi’; ‘Occhi di gatto’; ‘Kiss me Licia’. Vi rendevate conto, quando le incidevate, che erano brani che sarebbero entrati, in qualche modo, nella storia?

«Quando registri una canzone non puoi sapere se avrà o meno successo. Dopo aver inciso la prima sigla con Cristina D’Avena, poi le altre sono venute quasi inconsapevolmente e ne sono venute tante altre. Oltre a collaborare con lei, ci sono stati tanti maestri: Giordano Bruno Martelli, Piero Cassano, Ninni Carucci, Enzo Draghi, Franco Fasano, Max Longhi, Giorgio Vanni, Silvio Amato, Valeriano Chiaravalle, Augusto Martelli e tanti altri. In quegli anni è cambiato il modo di arrangiare le canzoni dei bambini proprio grazie ad Alessandra Valeri Manera. Ci vuole cuore per far cantare i bambini, oltre ad un attento studio per abbinare ed uniformare le loro voci».

Qual è stato il contributo che ha dato ciascuno di loro? Ascoltando questi brani percepisco che c’è una sensibilità diversa. Penso alle batterie di Ninni Carucci, alle chitarre di Enzo Draghi o alle melodie scritte da Franco Fasano.

«È stato interessante e stimolante lavorare con arrangiatori diversi, ognuno di loro mi ha arricchito sia professionalmente che umanamente. Alessandra era molto attenta nella scelta di compositori ed arrangiatori, ciascuno con le proprie caratteristiche ha apportato un contributo unico ed importante».

Che ricordo hai di Alessandra Valeri Manera?

«Gran parte di quello che ho imparato lo devo ad Alessandra. La lezione più grande è stata quella di insegnarmi a proteggere la mia attività artistica, quella di dire dei no a diversi progetti se non in linea col proprio spirito. Altrettanto importante la figura di mia nonna, una donna che ha avuto una vita difficile, non si abbatteva mai, ha sempre affrontato la vita con ottimismo, sapeva che la soluzione giusta era sempre dietro l’angolo. A lei devo la mia perseveranza».

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.