Jacopo Ratini

Jacopo Ratini: “Le canzoni devono smuovere la profondità dell’animo umano” – INTERVISTA

Intervista a Jacopo Ratini in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo “Il mestiere di scrivere

È stato pubblicato lo scorso novembre “Il mestiere di scrivere“, nuovo singolo di Jacopo Ratini in cui viene raccontato il lavoro dietro alla nascita dell’idea di una canzone, la ricerca delle parole giuste, la trasformazione di uno spunto in un racconto che spesso rappresenta una storia d’amore verso qualcuno o qualcosa. Abbiamo raggiunto il cantautore romano per farci raccontare qualcosa in più sul brano e sull’arte della scrittura.

Ciao Jacopo, benvenuto su Libera la Musica. Con “Il mestiere di scrivere” omaggi la scrittura e il processo creativo che porta alla costruzione di una canzone. Com’è nata l’idea di questo omaggio?

«Da tempo volevo scrivere un brano che rendesse omaggio alla scrittura e al suo potere creativo e terapeutico, per far capire meglio a tutti coloro i quali si approcciano a questo mestiere quanto lavoro, tempo, passione ed energia si nascondano dietro alla ricerca e alla creazione di ogni singola parola di una canzone».

Cosa significa per te scrivere?

«Scavare. Dentro me stesso, i miei ricordi, le mie emozioni e le mie esperienze di vita, per tirar fuori qualcosa in cui le persone possano identificarsi».

La metafora che utilizzi nell’incipit colpisce immediatamente: “La mia penna è un’arma“. Ce la spieghi meglio?

«In alcune occasioni la penna di uno scrittore può essere utilizzata in modo delicato, dolce, soffice. In altre, invece, le parole che si generano da essa possono essere dure, taglienti o scomode».

La tua penna però è anche un “crocevia“. Quale direzione hai scelto di prendere?

«La direzione dei miei pensieri, delle mie emozioni, della mia umanità, della mia grande curiosità e della voglia di raccontare e di comunicare che mi contraddistinguono da sempre».

Ogni storia è una nuova canzone“: è dalle storie che nasce quindi per te l’ispirazione?

«L’ispirazione è ovunque. Basta sapersi immergere in modo consapevole in ogni situazione o in ogni occasione. Un ricordo, un viaggio, un film, un libro, una foto, un disegno, una parola detta o non detta possono attivare la mente creativa, che trasformerà quello spunto in una tematica o in un argomento su cui scrivere la nostra canzone».

Sei molto sensibile nei confronti del cantautorato e a dimostrarlo c’è l’Accademia del Songwriting che hai creato nel 2019. Come vedi la posizione del cantautorato nell’attuale scenario musicale italiano?

«Mi piace molto questo ritorno al desiderio di raccontare sè stessi e il proprio mondo emotivo in tutte le sue sfaccettature, sia positive che negative. Mi piace meno, a volte, la forma con cui si scrive e la ricerca ossessiva degli artifici vocali ed estetici con cui si portano in scena le proprie canzoni».

Un consiglio che vuoi dare a chi è alle prime esperienze di scrittura?

«Siate curiosi: sperimentate, studiate, leggete, ascoltate e osservate quello che vi gira intorno e poi provate a trovare la vostra voce personale. Prendete spunto da ciò che vi emoziona ma poi riformulate le cose vi piacciono in modo originale, senza essere la copia di qualcuno che già esiste. E, infine, armatevi di tenacia e di pazienza».

A proposito di scrittura, ultimamente ci sono molte polemiche sulla violenza contenuta nei testi delle canzoni trap. Qual è la tua posizione a riguardo?

«Sono convinto da sempre che le canzoni debbano trasmettere qualcosa che smuova la profondità dell’animo umano. Sono per la libertà stilistica e di genere ma molti degli stereotipi utilizzati nel mondo della musica trap non li riesco a comprendere e a condividere. È come se la forma volesse in tutti i modi sovrastare la sostanza».

Nel 2010 hai partecipato a Sanremo tra le Nuove Proposte con “Su questa panchina“. Che ricordi hai di quella esperienza?

«Un’esperienza fantastica. Il coronamento di un sogno che avevo fin da bambino: partecipare al Festival di Sanremo con un brano scritto e interpretato da me».

Sono passati 14 anni eppure i versi di quella canzone sono, purtroppo, ancora attualissimi: “Il mondo canta storie che parlano d’orrore“, “Il mondo fa la guerra“. Il segreto è sempre quello di rifugiarsi nei valori più semplici che cantavi all’epoca?

«Il segreto di quella canzone sta nella semplicità delle parole, dei concetti e della linea melodica, in contrapposizione all’assurda complessità della guerra. La guerra è invenzione dell’uomo per rubare qualcosa ad un altro, per mettergli paura, per sovrastarlo. È qualcosa di puramente illogico. Che senso ha, nel 2024, giocare ancora a farsi la guerra e ad uccidersi in modo così superficiale e brutale?».

Classe '92, il sogno della scrittura l'ho lasciato per troppo tempo chiuso in un cassetto definitivamente riaperto grazie a Kekko dei Modà, il primo artista ad essersi accorto di me e a convincermi che questa è la strada che devo percorrere. Per descrivere il mio modo di raccontare la musica utilizzo le parole che mi ha detto una giovane cantautrice, Joey Noir: "Grazie per aver acceso la luce su di me quando si sono spenti i riflettori". Non faccio distinzioni tra la musica che è sotto i riflettori e quella che invece non lo è, perchè l'unica vera differenza dovrebbe essere tra musica fatta bene e musica fatta male.