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Ianez: «’Ghiaccio’ è una dedica alle persone che vengono messe ai margini» – INTERVISTA

Ianez presenta ‘Ghiaccio

Ghiaccio‘ è il nuovo singolo di Ianez. In questo brano il cantautore abruzzese dà voce ad esistenze fragili e invisibili, ‘Ghiaccio‘ è un brano spietatamente lucido, capace di trasformare il dolore personale in racconto collettivo. Questo brano è il tentativo di rendere percepibile uno stato d’animo, una discesa silenziosa nell’incomprensione, nella tristezza e nell’ingiustizia sociale. Il brano è costruito su una tensione emotiva costante tra intimismo e denuncia lasciando spazio ad immagini che evocano fragilità, solitudine e un’umanità dimenticata. Sento Andrea al telefono per farmi raccontare com’è nato questo loro ultimo brano e quali progetti la band ha per i prossimi mesi.

Ciao Ianez, come stai? Ho ascoltato il vostro nuovo brano ‘Ghiaccio‘, è molto intenso, com’è nato?

«Questa canzone l’ho scritta dopo la morte di mio padre, non parlo nello specifico di ciò che è accaduto, ma è una dedica agli ultimi, alle persone che vengono messe ai margini. Il problema è che, e io l’ho vissuto con mio padre, se non fai parte di un ingranaggio economico vieni trattato come un emarginato. Sì, è vero, mio padre aveva un passato complesso da ex tossicodipendente, ma mi ha lasciato in eredità un’infinità di libri. Ha trascorso parte della sua vita facendo avanti e indietro dal SerT (il Servizio per le Tossicodipendenze), mi piace sottolineare che dipendenza non vuol dire criminalità, si lega la tossicodipendenza al furto, mio padre non ha mai fatto del male a nessuno. Quando l’ho portato per la riabilitazione a un piede, per trovare una struttura che lo accogliesse, ho dovuto dire dei grazie immeritati».

Quali problemi avete riscontrato?

«Era complicato da far capire, nelle strutture avevano come paura che potesse arrivare uno spacciatore da un momento all’altro. Se hai avuto un problema enorme come la tossicodipendenza ti rimane addosso tutto il pregiudizio delle persone, sì, è vero, hai sbagliato, ma non te la possono far pagare per ogni cosa, in questo modo non ne vieni fuori. Stare al mondo è una questione di possibilità. La mia adolescenza è stata complicata, ho capito da grande quale fosse il suo problema, però non mi ha fatto mai mancare l’affetto di un padre, lui con me era una persona meravigliosa».

Ho ascoltato il tuo brano prima di chiamarti, mi ha colpito l’intensità del messaggio, ora che mi racconti questi dettagli devo ammettere che sono sorpreso, è una storia da condividere, davvero emozionante. Noto rabbia, ma anche dolcezza.

«La dolcezza può essere arrabbiata… Per questo ho sentito l’esigenza di scrivere questa canzone, ci sono persone che non riescono da integrarsi in un sistema dove anche la pietà è subordinata all’ego. Quando si ammalano diventano colpevoli della loro condizione. È a loro che dedico questo pezzo».

Ho letto il testo e adesso alcune frasi diventano un messaggio fortissimo. Nel brano dici «Guardo attraverso il tuo corpo sciatto, guardi attraverso il mio corpo sciatto».

«Pensa che mio padre prima di morire è arrivato a pesare quarantadue chili, si è lasciato andare. Nella sua vita ha fatto lotte politiche spinte da un ideale, non lottava necessariamente per lotte personali, le lotte sono una questione di dignità, per ideali da condividere».

Cosa avete in programma per i prossimi mesi?

«Il 7 giugno parteciperemo a “Due note a Vasto”, ci saranno le radio, aspettiamo l’ok per nuove date, stiamo anche scrivendo un nuovo brano dedicato al mondo del lavoro, la semantica là è cambiata, siamo numeri intercambiabili. Sei esattamente come prima, hanno tolto la frusta e ci hanno dato il badge».

Com’è nata questa canzone?

«Noi siamo una band, con ‘Ghiaccio’ è cambiato il modo di fare musica, in genere scriviamo assieme, ci mettiamo in sala prove, suoniamo, scriviamo, questo è un pezzo che parte da me, l’ho proposto ai ragazzi e stavolta non hanno avuto nulla da dire, l’abbiamo incisa così com’era, senza cambiare nulla, hanno compreso quanto fosse intimo il bisogno di esprimere questo messaggio. In generale a me piace lavorare in collettivo, la condivisione è fondamentale. In una guerra che si compatte da soli c’è sempre disgregazione dell’umanità, soltanto l’umanità può lasciarti da solo. A Gaza sono soli, perché non interessa a nessuno, è un popolo che non fattura. Sì, è vero, abbiamo scelto noi il capitalismo, ma siamo finiti in una trappola, nell’umanità c’è un emorragia incredibile».

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.