Francesco Cangi & The Lonely Rockets presentano l’album ‘What if the universe..?‘
‘Lundi à six heures‘ è il primo singolo estratto da ‘What if the universe..?‘ il nuovo album di Francesco Cangi & The Lonely Rockets. ‘Lundi à six heures‘ è un brano che, come si può intuire dal titolo, è dedicato al lunedì, in particolare a quella sveglia, odiata da molti, che suona alle sei del mattino. Francesco e la sua band colgono l’occasione per dare valore a quel giorno, esortare la gente affinché veda quell’inizio per lavorare alla rinascita della propria identità. Tutto l’album è una continua ricerca di sonorità particolari, è potente e orecchiabile. Il disco raccoglie brani che spaziano dal new jazz strumentale al funk elettronico contaminati dall’uso massiccio di sintetizzatori, melodie imponenti, robuste brass section e tanto groove. Sempre e tutto rigorosamente al servizio della musica. Sento Francesco per farmi raccontare come è nato questo brano e del suo rapporto con la musica.
Ciao Francesco, come stai? Intanto devo fare i complimento al produttore, l’arrangiamento del vostro singolo è pazzesco. Com’è nato questo brano?
«L’ho arrangiato io (ride, nda). Questo brano nasce da una lunga storia, tutti sono sempre contro il lunedì, per molti il Lunedì è la giornata più triste della settimana, tutto riparte da dove non vogliamo cominciare. Per anni il mio Lunedì è sempre stato l’opposto, soprattutto alle sei del mattino, quando insieme a tante persone coraggiose, lavoravo sulla rinascita dell’identità. Questo brano è un’esortazione a fare quello che più ci piace, ce ne rendiamo conto da come iniziamo la settimana. Questo brano inoltre ha una musicalità particolare, è nato in francese perché volevo farlo cantare a Sabina Sciuba, lei ha saputo cantarlo soavemente come era nelle mie intenzioni, ha accettato fin da subito con molto piacere».
So che sei uno stimato polistrumentista, in che modo è nato questo brano?
«Sai, molte cose nascono dal pianoforte, il pianoforte è il padre di tutti gli strumenti, rispetto al trombone, ha caratteristiche tali che ti aiutano a poter mettere nero su bianco l’idea che ti frulla in testa, in musica la difficoltà è creare quello che hai nel cervello, un’idea, una melodia. In tutto l’album ho dato molto peso alla parte strumentale, il testo è, diciamo così, una musica cinematografica, per mia formazione faccio più riferimento alle immagini che al testo. Essendo un musicista do peso alle immagini in quanto dimensioni inconsce, non esistenti».
In che modo riesci a trasmettere queste immagini in un brano strumentale?
«Intanto devi percepire che questa cosa si è realizzata, se ti rendi conto che funziona, vuol dire che può arrivare. Il suono per me è molto importante, sia da un punto di vista musicale, che testuale, anche le parole hanno un suono. Hanno recensito questo album come “Rock jazz cinematografico”, non ci avevo pensato e mi è piaciuta molto questa definizione, pensa che io ho cominciato a fare musica grazie a un mio amico che mi chiese di scrivere le musiche per un suo spettacolo teatrale».
Qual è stato il tuo percorso musicale? Quando hai capito che la musica poteva diventare il tuo lavoro?
«Ti dirò, mi sono avvicinato alla musica fin da piccolo da autodidatta, ho iniziato a suonare la chitarra, poi ho scoperto il pianoforte, dopo ancora la batteria. Per i primi anni mi sono mosso nel mondo della musica senza una vera formazione, ho scoperto il trombone in tarda adolescenza, ho suonato con una storica band fiorentina Passogigante, davvero loro mi hanno aiutato a fare un passo gigante sul campo nel mondo della musica, ma mi mancava qualcosa.
Sentivo il bisogno di avere tutte le carte in regole, devo ammettere che i colleghi con cui suonavo mi hanno costretto a mettermi a studiare, così ho avviato un percorso di studi al Conservatorio Jazz di Bologna, mi sono laureato a Rovigo col professore Massimo Morganti. Da lì è stato come un inizio che non finisce mai, prima ero uno che sapevo fare le cose, ero giovane, mi beavo di questa aureola, tutti mi dicevano che ero bravo, dopo avere studiato ho capito che lo studio e la pratica superano il talento, è stato un processo lento e di scoperta, tante volte penso che avrei potuto iniziare prima, poi penso che avendo ora questa testa ho studiato queste cose con maggiore attenzione, con una maturità diversa, quindi meglio così».
Dopo questa consapevolezza, sei soddisfatto del tuo lavoro discografico?
«Questo disco mi ha dato modo di trovare il modo per esprimere il mio io musicale, senza averlo mai conosciuto a fondo. Ho fuso l’alta formazione Jazzistica con il mio background pop punk. Credo che il jazz sia fondamentale per lasciare andare il puro istinto, correre e giocare senza schemi e pregiudizi. Questo disco ha preso forma pian piano da solo e si è cristallizzato in una solidità unica e infrangibile».
Che programmi hai per i prossimi mesi?
«Da una parte c’è la promozione del disco, dall’altra sarà un’estate ricca di musica, suonerò con altri artisti, sono in tour come trombonista con Roy Paci e con Alfa».
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