Fabio Cinti e Alessandro Russo

Fabio Cinti e Alessandro Russo: “Abbiamo lavorato per sottrazione alla musica di Branduardi” – INTERVISTA

Intervista danno nuova vita alla musica di Angelo Branduardi

Fabio Cinti e Alessandro Russo pubblicano “Guardate com’è rossa la sua bocca”, un album omaggio alla musica di Angelo Branduardi. Dieci brani scelti dalla discografia dell’immenso artista milanese, la pubblicazione esce, quasi per caso, anche per celebrare i cinquanta anni di carriera. Ecco come Fabio racconta il nuovo lavoro discografico.

Ciao Fabio, come stai? Intanto ti ringrazio, ho ascoltato i brani del tuo album, mi hai portato nell’Olimpo della musica italiana. Ti chiedo subito: com’è nata l’idea di questo nuovo album che tra l’altro ricorre per il cinquantesimo anniversario della carriera di Branduardi?

«Mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato, in realtà che ci sia l’anniversario è un caso: da tempo con Alessandro pensavamo di incidere questo lavoro, poteva anche essere pronto per fine dicembre, ma vista la ricorrenza alla fine abbiamo voluto pubblicarlo nel 2024. Abbiamo scelto dieci tracce che sono dieci storie, dieci racconti, ci siamo approcciati a questo lavoro con la stessa sensibilità che si usa quando ci si accosta alla musica classica, non abbiamo voluto aggiungere nulla, abbiamo lavorato per sottrazione, da qui la scelta di arrangiare tutto il lavoro con voce e piano. La cosa importante era quella di far emergere quel che conta di un brano: armonia, melodia, ritmo e testo».

Effettivamente è quello che ho percepito ascoltando il tuo lavoro, si ha l’idea di esecuzione del brano che va oltre l’interpretazione intesa come idea di far propria questa o quella canzone. Com’è stato approcciarti alla musica di un artista del calibro di Branduardi?

«Il mio intento era proprio quello, far emergere questo aspetto affrancando i brani dalle personalità mia e dello stesso Branduardi, cercando un’interpretazione pura, dove l’interprete fosse al servizio della canzone e non viceversa, proprio per sottolineare la poetica che sta nella scrittura, sia della musica che dei testi. Nel ricantare Branduardi, stessa cosa la potrei dire per quel pugno di grandi cantautori italiani di cui fa parte, si rischiano due cose: l’emulazione, non solo vocale, o, per quel che è peggio, la “coverizzazione”, ovvero quel processo attraverso il quale ci si autorizza a fare proprie delle canzoni personalizzandole a piacimento, offrendo versioni spesso modeste e inferiori alle originali. Questo non accade nella musica classica, dove il rigore esecutivo della scrittura è essenziale e quindi imprescindibile. Il mio approccio vocale e quello pianistico di Alessandro Russo è stato proprio figlio di questo rigore».

C’è una domanda che faccio di solito ad artisti che intervisto per la prima volta: qual è il primo ricordo che hai con la musica? In che modo ti sei avvicinato a questo mondo da piccolo?

«Ho sempre amato cantare, da piccolo, avrò avuto nove o dieci anni i miei mi videro cantare con una scopa, al primo Natale mi regalarono una chitarra. Mi divertivo a suonare i brani che più mi piacevano, una cosa che mi veniva naturale, subito dopo ho scoperto di avere l’orecchio assoluto».

Ritornando al tuo nuovo lavoro, vedo che il primo brano estratto dal nuovo album è “Fou de love”, un brano del 1994 scritto da Branduardi e da Pasquale Panella, autore noto al grande pubblico per avere contribuito a scrivere la discografia di Battisti nel periodo successivo a Mogol, ma vedo che tra le dieci tracce scelte spicca la nota “Alla fiera dell’Est”…

«Sì, abbiamo scelto “Fou de love”, un brano particolare, il testo è stato scritto in un miscuglio di lingue: italiano antico e moderno, inglese, francese, spagnolo, esperanto, in dialetto napoletano e con espressioni inventate. In questo pezzo, come per altri presenti nel disco, è stata aggiunta una breve introduzione sempre presa da un concerto di Branduardi, per il resto la stesura è fedele all’originale. L’argomento della canzone, ovvero la disperazione d’amore, ha certamente influito sull’interpretazione».

Immagino che presto, per liberare la vostra musica, partirete con il tour, al momento Il brano è accompagnato anche da un video. Branduardi ha avuto modo di ascoltarlo?

«Con questo semplice video abbiamo voluto ricreare l’atmosfera che c’è quando io e Alessandro suoniamo e cantiamo le canzoni di Branduardi, questa volta sullo sfondo di pianoforti e altri strumenti antichi in questo strano liutaio di Padova. Insieme, la condivisione delle fasi di registrazione allo Studio2, che è sempre un momento di serio divertimento. Al momento stiamo pensando alla promozione, siamo molto contenti del nostro lavoro, il maestro Branduardi lo ha ascoltato una sera a cena ed è rimasto molto contento.

Per il tour penso che partiremo in primavera per poi proseguire d’estate. In questo momento non ci stiamo pensando, mi piace vivere in modalità Zen: ciò che deve accadere, accadrà. Quindi non ci lasciamo sovrastare da cose che non dipendono da noi. Spesso nel mondo della musica, quando sento colleghi, ci si lascia ossessionare dall’idea di fare più cose possibili, a me piace pensare che quel che si fa lo si fa per bene, con semplicità, con rigore.

Penso a Paolo Benvegnù, non mi piace quando leggo che non ha avuto o non ha il successo che meriterebbe, lui fa bene il suo lavoro, lo fa a dire il vero in maniera straordinaria, poi non è detto che un certo tipo di musica raggiunga grandi platee. È un discorso contorto, sento dire, quando si parla di questo o di quell’artista che è sopravvalutato, io penso che ciascuno ha dei talenti, c’è chi ha il talento, anche per il solo modo di stare su un palco, chi ha un carattere più introverso e arriva ad un altro tipo di pubblico, tutto qua. Penso che il più grande batterista di tutti i tempi sia stato Jeff Porcaro, batterista dei Toto, lui era straordinario nel fare i 4/4, lo faceva in maniera impeccabile».

Bene Fabio, grazie per questa chiacchierata, buon lavoro a te, questa è la prima intervista che pubblico su Libera La Musica, un nuovo magazine di informazione e critica nato da un’idea di Ilario Luisetto. Tanti auguri a Branduardi per i suoi cinquanta anni di carriera e buona musica!

«Ciao Antonino, grazie a te, in bocca al lupo per questa nuova avventura editoriale e alla prossima!».

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.