Clara Moroni

Clara Moroni: «Oggi bisogna aver paura della mancanza di trasgressione» – INTERVISTA

Chi ha paura di chi” e “Spiriti” nell’evento live di Clara Moroni e The Black Cars al Legend Club di Milano

Chi a paura di chi” e “Spiriti” sono due album di Clara Moroni pubblicati tra il 1990 e il 1992 che dal 12 settembre sono tornati disponibili sulle piattaforme digitali di streaming in versione rimasterizzata. I due album saranno presentati in un concerto evento al Legend Club di Milano il 12 ottobre, Clara Moroni e The Black Cars tornano sul palco per un evento unico. Clara è una rocker pura italiana, la sua carriera è cominciata da solista, a 15 anni fa un viaggio a Londra alla ricerca del suo sogno Punk e per conoscere nuove realtà musicali.

Torna in Italia e comincia a lavorare come vocalist con grandi produttori e artisti del calibro di: Mauro Pagani, Jovanotti, gli Stadio, Sergio Palma, Piero Cassano e Alberto Fortis. È dopo quest’ultima collaborazione che conosce il produttore Guido Elmi che la introduce nel magico mondo di Vasco Rossi, da qui inizia un’intensa collaborazione col rocker di Zocca che la vedrà legata all’artista romagnolo per vent’anni di carriera. Sento Clara per un’intervista in occasione della rimasterizzazione dei due album già disponibili nelle piattaforme streaming e che saranno presentati il prossimo 12 ottobre a Milano.

Ciao Clara, come stai? Ti faccio subito una domanda parafrasando il titolo del tuo album, di cosa dobbiamo avere paura oggi? Chi ha paura di chi?

«Mi sto preparando con molto entusiasmo per questo concerto evento. Se oggi c’è una cosa che mi fa paura è la mancanza di trasgressione. Anche la trasgressione si è in qualche modo omologata. Oggi la musica che vuole apparire trasgressiva viene confezionata a tavolino, capisci bene che perde la sua forza, sono tasti che vengono schiacciati. C’è una omologazione che per tornare alla tua domanda mi fa paura, per proporre un certo tipo di musica da commercializzare sento sempre testi tutti uguali, musica uguale, artisti tutti uguali.

Una canzone è rock non solo nell’arrangiamento, ma quando soprattutto ha dei testi che parlano di temi forti. Quando abbiamo scritto questi due album non ero brava a scrivere i testi, è stato fondamentale il lavoro sui testi di Elio Aldrighetti. Il progetto, l’idea era quella di presentare una donna che parlasse di affermazione, emancipazione, e perché no, di sesso. C’era la voglia di trasgredire, la musica è cambiata, oggi bisogna aver paura della mancanza di trasgressione, di libertà».

1990, 2024, sono passati 34 anni, cos’è cambiato nel mondo della musica? Da cosa nasce l’esigenza di pubblicare questi album?

«Come ti dicevo, è cambiato molto, quelle canzoni avevano connotazioni sonore legate ad un preciso momento storico e legate alla mia crescita personale. Ho tolto certi particolari, volevo rendere i pezzi moderni, è bastato poco in realtà e ho l’impressione che siano pezzi fatti oggi».

Nella tua carriera musicale c’è stato un incontro importante con Vasco Rossi, 20 anni in cui hai collaborato col rocker italiano per eccellenza. Come hai unito queste due anime? Quella di artista in prima linea e quella di vocalist?

«Diciamo che, pur lavorando con Vasco, ho sempre fatto la solista. Ho fatto cinque album miei nel corso degli anni, non avrei lavorato con nessun altro, ho accettato perché la proposta veniva da Vasco. Te lo dico perché ho avuto altre proposte di lavoro, ma ho sempre rifiutato. Lavorare in quel contesto non era semplicemente fare la vocalist di Vasco, ma sono stata una cantante che canta con Vasco. Già allora ero molto esterofila, Vasco lo conoscevo per i brani più famosi, entrare nel suo repertorio è stato strepitoso, non c’era nessun altra in Italia che potesse stare sul palco assieme a lui, ho imparato tanto da lui, c’è differenza tra cantare una canzone e interpretarla, interiorizzarla e buttarla fuori».

In genere faccio questa domanda agli artisti che intervisto per la prima volta: qual è il ricordo che hai da piccola, cosa sognavi di fare da grande? Hai mai pensato che artiste come Loredana Bertè o Gianna Nannini potessero essere un punto di riferimento?

«Non c’è stata da subito una percezione professionale, sono scivolata in questo mondo mio malgrado. Ascoltavo musica in cuffia di notte, non dormivo mai, andavo a scuola stordita… poi quello che mi ha fatto esplodere è stato il punk, poi la new wave, una musica più dark… in tutti i miei lavori ci sono sempre tante commistioni. Loredana Berté e la Nannini sono due artiste straordinarie. Loro a mio avviso sono rock nell’atteggiamento, appartengono alla tradizione cantautorale italiana, io sono stata più aderente al genere. Penso a brani come “Il mare d’inverno” o a “Fotoromanza”…».

Il 12 ottobre ti esibisci a Milano con la tua band, sarà l’occasione per riproporre live questi due dischi. Come ti stai preparando per questo concerto evento? Hai pensato di mettere in scaletta un brano di Vasco?

«Sto ripassando i pezzi, sto fumando meno sigarette, mi sono messa a dieta… sui palchi rock tutto avviene in maniera estemporanea, può accadere di tutto. Mi sto preparando con molto entusiasmo proprio perché sarà una data unica in un luogo magico, è una one night event! Di Vasco faremo “Credi davvero”, un brano che amo e che sento mio. Sul palco con me ci saranno: Michele Vanni alla chitarra; Stefano Bitelli al basso; Andrea Ge alla batteria e Maurizio Solieri che è la special guest star della serata».

C’è un episodio particolare che mi vuoi raccontare e che ti lega a questi anni vissuti con la nostra rock star per eccellenza?

«Ce ne sarebbero mille, proprio perché con Vasco eravamo tanti professionisti, tutti con un carattere un po’ forte, una volta, durante un concerti preso dalla foga, mentre cantava mi venne vicino da dietro, si attaccò al collo, sembrava quasi mi stesse strozzando, era solo la foga del momento, che una foto storica che ritrae questo momento. Avvenivano cose strane perché come ti dicevo quello che avviene durante un concerto rock è imprevedibile».

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.