Intervista alla giovane cantautrice soul/jazz siciliana
È uscito lo scorso 16 maggio “Coltrane“, nuovo singolo della giovane cantautrice soul/jazz siciliana Ariele che si propone con un brano dalle sonorità disco/funk 80’s e la natura testuale di una denuncia sentimentale, nascondendo però anche una rivalsa su sè stessi. Abbiamo raggiunto l’artista, che vanta già diverse collaborazioni importanti a livello concertistico ed è arrivata in finale ad Area Sanremo nel 2021, per farci raccontare qualcosa in più della canzone e di lei.
Ciao Ariele, benvenuta su Libera La Musica. È uscito da poco il tuo nuovo singolo “Coltrane“, ci racconti com’è nato questo brano?
<<Il brano è nato durante una nottata un po’ turbolenta, ero distesa sul letto cercando di rilassarmi per non pensare con le mie cuffiette nell’orecchio e stavo ascoltando “In a sentimental mood” di John Coltrane, improvvisamente ho avuto l’istinto di prendere carta, penna e iniziare a scrivere tutti i pensieri e le sensazioni che sentivo, cercando di tirar fuori il malessere che provavo>>.
Il brano ha un testo cupo, racconta una relazione malsana, ma viene però sviluppato sulle sonorità della disco/funk degli anni ’80. Pensi che questa freschezza sonora ti possa aiutare a far passare meglio il tuo messaggio?
<<La scelta di sviluppare il brano in questo modo, facendogli prendere una piega più fresca e allegra non è casuale; volevo che arrivasse un concetto importante e cioè che da qualsiasi situazione o brutto momento si può uscire a trarre qualcosa di buono, basta volerlo, accogliere il dolore e avere fiducia nelle proprie capacità e in quello che siamo>>.
“La musica è un anestetico” è la frase che colpisce di più del testo. Ci spieghi meglio questa affermazione?
<<Nel mio disco c’è un altro brano che si intitola “Per te” ed è uscito a gennaio del 2021 in cui faccio riferimento alla musica e a ciò che significa e ha significato negli anni per me. Anche in questo caso la musica è stata un mezzo grazie alla quale ho potuto riversare un dolore ma, grazie a lei e a quello che è capace di darmi, tutti i tipi di dolore diventano flebili o oserei dire piccoli. Ho immaginato quindi che la musica, come una medicina, stesse anestetizzando, per un momento, la mia sofferenza>>.
Il titolo della canzone rimanda al famoso sassofonista jazz John Coltrane. Cosa rappresenta per te questo artista?
<<In realtà non ho un legame particolarmente stretto con questo artista, il mio percorso jazzistico in Conservatorio mi ha sicuramente indirizzata in tanti tipi di ascolti, in quel periodo ascoltavo Coltrane perché il suo modo di suonare mi rasserenava>>.
Quali sono, invece, gli artisti che hanno influenzato maggiormente il tuo percorso artistico?
<<Non ci sono artisti in particolare; sicuramente tutto il periodo storico della Motown Music e il neosoul americano hanno influenzato molto la mia direzione musicale, anche se, a dire la verità, in Italia secondo me il mondo della Black Music viene ancora sottovalutato, probabilmente perché scrivere in italiano su quel tipo di beat o groove è molto complesso e a tratti forzato. Mi piacerebbe però che questo stile possa venire apprezzato sempre di più per questo cerco di rimanere su questa direzione>>.
Nella tua biografia si legge che hai collaborato con artisti del calibro di Peter Eskine, Marco Masini, Davide Shorty e Mario Venuti. Cosa hai imparato da loro?
<<Una parola sola: l’umiltà, sempre>>.
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