Andrea Campi

Andrea Campi: «’Riparare’, quando tutto sembra sostituibile, è l’atto più rivoluzionario che possiamo compiere» – INTERVISTA

Andrea Campi pubblica ‘Riparare

Riparare‘ è il nuovo singolo di Andrea Campi, un brano intenso che cresce in dinamica, un brano delicato e al contempo forte, affronta in modo originale il tema dei legami e della fragilità. In una società consumistica è un invito, come dice nel testo, a “imparare a riparare”, un invito a custodire e ricucire, piuttosto che buttare o rompere. Un brano con dinamiche musicali trascinanti e con un testo che fa riflettere, questo brano è stato realizzato con il sostegno del MiC e della SIAE nell’ambito del programma “Per chi crea”. Campi con questo brano vuole invitare la gente a scegliere di riparare e di questi tempi in una società veloce, che consuma, diventa un atto di resistenza e di cura.

Ciao Andrea, come stai? Com’è nata ‘Riparare‘?

«Fondamentalmente è nata da quello che sento in questo periodo, ho lavorato come autore, mi ero fermato coi miei progetti, il mio sguardo si è spostato sul momento che stiamo vivendo, nelle relazioni, nei rapporti, nel lavoro. Chiedermi cosa va salvaguardato e in che modo, in questa canzone riparare è la prima cosa che ho sentito, avevo bisogno di gentilezza, parla di fragilità, di cura, la scelta di riparare. Ho scritto ‘Riparare’ come possibile cura. In un tempo in cui tutto sembra sostituibile, per me scrivere e cantare questa canzone è stato un modo per affermare che proteggere, custodire e ricucire è forse l’atto più rivoluzionario che possiamo compiere».

A un dottore in Lettere Moderne non posso non chiedere: prima è nato il testo o la musica?

«In genere parto dalla musica, in particolare per scrivere ‘Riparare’ sono passato da una libreria dell’usato e mi ha fatto piacere che ancora resistesse, da lì mi è nata l’idea di scrivere questo brano. All’interno c’è tanto di mio… c’è il mio mondo letterario, la citazione a Montale, ci siamo io e la mia fidanzata. A volte sento molti rapporti utilitaristici, rapporti che cambiano a seconda dell’utilità, sento molto questo aspetto, invece credo che le cose belle, indipendentemente dall’utilità di quel momento, vadano curate».

È più una canzone a carattere sentimentale o più ambientalista?

«Cercavo di tenere insieme queste due cose, mi piace l’idea che il messaggio fosse universale, l’aspetto relazionale, ma anche il tema ambientale».

Ho sottolineato alcune frasi del testo: “ vorrei durare per te, come il negozio di dischi sempre aperto sotto casa tua”. E ancora… “vorrei durassi per me più di uno slancio, più di un abbaglio, più di una foto che poi non riguardo”, anche tu sei vittima di questo consumismo?

«Io mi ci metto dentro, è estremamente complesso, è qualcosa a cui tendere, non volevo fare la morale, la vita ci porta a questo, però prestare alle cose importanti e dare valore alle cose. Anche il mio percorso musicale può rientrare in questo, anche la musica si butta via molto velocemente, è difficile tenere la barra dritta. Mi piace anche il lavoro di squadra, nell’ultima strofa faccio un riferimento a “noi”, è molto importante la condivisione, è stato bellissimo suonare con Simone Santi e l’orchestra leggera a Bologna, eravamo tanti artisti emergenti ed è stato bello suonare assieme, condividere quel palco».

Qual è l’onomatopea più eclatante, o quella che troviamo più spesso, nei testi di canzoni italiane?

«Ce ne sono tantissime, pensa che la mia tesi della laurea triennale è diventata un libro che si intitola “Da tapum a skrt, l’onomatopea nella canzone italiana”, uno studio che è diventato una lettura del cambiamento della società. Ti faccio un esempio, il suono “tapum2 si trova all’interno di un canto patriottico della prima guerra mondiale, “skrt” è quello della trap, un suono che richiama lo sgommare di un’auto di lusso sull’asfalto. Ma ce ne sono tantissimi, il “ta ra ta ta” del mitra cantato da Morandi in “C’era un ragazzo”, canzone che pensa, fu oggetto di un’interrogazione parlamentare perché nel testo metteva in evidenza le ingiustizie di una guerra voluta dall’America. Per passare al “Ciunga ciunga” che in qualche modo racconta il boom economico».

Mi dicevi che scrivi per te ma anche per altri artisti, qual è la differenza?

«È molto diverso, quando scrivo per altri sono al servizio della poetica e della vita di un’altra persona, cerco di tirare fuori qualcosa di vero, si tratta di entrare e viaggiare in mondi diversi. Entrare in mondi diversi ti permette anche di tirar fuori dei lati tuoi. Scrivere per me invece è scavare dentro me, separo le due cose, se scrivo per un altro lo sento che non è una cosa mia. In genere sono a casa da solo, al pianoforte a suonare con la chitarra, scrivo sia melodie che testi, è un mondo particolare questo dell’autorato, capita che ci si trovi con altri autori o con altri produttori, è un modo diverso perché ti confronti con altre persone».

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.