‘Disco Vivo‘ è il nuovo album di Sara Rados e dei Progetti futuri
Già dal titolo dell’album, così come dal nome del gruppo dei musicisti che accompagna Sara Rados, si legge subito la volontà di far capire quanto la musica che viene proposta sia fatta da artigiani sperimentatori. ‘Disco Vivo‘ è un progetto discografico fatto di quadri sonori dal sapore onirico, è allo stesso tempo concreto e immediato, che Sara ha realizzato grazie alla collaborazione coi Progetti Futuri: Michele Staino al contrabbasso, Sergio Zanforlin al violino, e Gabriele Pozzolini alla batteria e percussioni.
Prima di chiamare Sara, ascolto i brani dell’album, guardo il video di ‘Bandiere sporche‘, singolo lanciato per promuovere tutto il lavoro discografico, nei suoi brani c’è tutto quello che si cerca nella musica d’autore, lontana dai grandi palchi, ma vicina a quella musica cantautorale che troviamo nelle rassegne di spessore come Musicultura, dove la Rados, non a caso, è stata per due volte nel 2010 e nel 2021, tra i 16 finalisti del colto festival maceratese. Sento Sara al telefono per capire com’è nata ‘Bandiere Sporche‘ e tutta la musica contenuta nell’album.
Ciao Sara, ti dico subito che per me questa è un’intervista difficile, le tue canzoni sono molto comunicative, attraverso il video mi hai portato nel tuo mondo, è “difficile” perché è come se mi avessi già raccontato tutto. Mi piace l’idea di farti ad ogni modo qualche domanda. Intanto, da cosa nasce “Bandiere sporche”? Perché la scelta di questo titolo?
«Ti ringrazio per le belle parole, “Bandiere sporche” nasce in un tiepido dicembre di qualche anno fa. Ero un po’ depressa, era un sabato o una domenica mattina, anche nei momenti di depressione metti la corazza e vai, non ti sottrai agli impegni che ti porta a fare la vita di tutti i giorni, ho accompagnato mia figlia al parco, una bimba è venuta e dandomi due calci mi dice: “sorridi, è natale”! Questa cosa mi ha fatto riflettere, non so, probabilmente ero assorta nei miei pensieri e la bimba lo ha percepito, con quel calcio ha smosso i miei pensieri ed è così che ho cominciato a scrivere, una volta tornata a casa, questo brano. Solo dall’intimità si può partire dal fare politica.
Spesso quando scrivo parto da immagini interiori, sogno tanto, e quando scrivo parto dalle immagini. L’idea di riferirmi a bandiere sporche è stato un gesto d’apertura pur rimanendo sul piano dell’immagine. Oggi i social trattano temi importanti con velocità, forse con troppa velocità, temi importanti come gli ideali del femminismo o gli ideali di sinistra vengono risolti in un post o con un reel. Io credo ci voglia tempo e spazio per riflettere sulle cose».
Quindi è da queste riflessioni che nasce una tua canzone?
«Spesso nasce dopo lunghi periodi di giramento di palle, in maniera più o meno consapevole porto avanti dei ragionamenti nel quotidiano, poi, quando meno te lo aspetti, le canzoni fanno capolinea. Appunto le idee e scrivo, compongo qualcosa e la lascio respirare, quando scrivo una canzone è come un ricamo con cui metto insieme i pensieri».
Quindi non c’è una priorità che dai partendo dal testo o da una melodia specifica…
«Esatto, le due cose si appartengono. Capita che l’atmosfera di una melodia mi rimandi al testo o che l’atmosfera di un pensiero mi rimandano alla musica o al resto. Come quando leggo un racconto di Calvino, leggo le sue parole e mi rimandano inevitabilmente alla musica. Le esperienze sonore aiutano l’individuo a diventare tale, pensa che il significato del suono comincia a entrare nella persona in maniera naturale come direbbe Daniel Stern ne “il mondo interpersonale del bambino”, già nei primi giorni di vita. Mi occupo di musicoterapia, Stern è uno degli autori che più ha lasciato il segno nella mia formazione di musicoterapeuta, i suoi studi sono molto interessanti e profondi».
Qual è la canzone del repertorio italiano che senti tua? Quella che avresti voluto scrivere?
«La prima che mi viene in mente è “Sono ribelle mamma”, brano degli Skiantos dei primi anni ’80, che tra l’altro è contenuta nel disco. In quel brano c’è tutta la voglia di esprimersi, quasi in maniera disordinata, ma con la voglia di comunicare, di ribellarsi».
È un brano che canti, diciamo così da figlia, e ora che sei mamma come lo leggi?
«Bella considerazione, non c’avevo pensato, beh, mia figlia è più metodica di me, diciamo che è una casinista assennata, per fortuna mi provoca, ha un suo punto di vista molto chiaro e lucido».
Molto bello l’acquerello che fa da copertina, il tuo primo piano, i musicisti tra i tuoi ricci.
«Si apre un bel capitolo, pensa che è stata fatta una grafica per ogni brano del disco, l’autore è è contrabbassista e illustratore, ha anche affiancato il padre negli ultimi dieci anni, a volte i figli d’arte pagato lo scotto dell’essere figli d’arte. durante i mesi estivi, Michele, contrabbassista e figlio del noto disegnatore Bobo Staino, ha realizzato, una ad una, l’immagine di copertina le grafiche dei brani e dell’album».
Come mai la scelta di chiamare l’album ‘Disco Vivo’?
«Intanto perché si tratta di un disco dal vivo, ma non è questa l’unica motivazione, non è per questo che si chiama così, almeno non solo. È un’esperienza che racchiude un tempo grande, che parte dalla scrittura delle prime melodie dentro casa, ai concerti e concertacci in giro per i club di Firenze, alle tempeste di cervelli in sala di registrazione con i ragazzi della band, le bevute, le mangiate e le seghe mentali! Poi questo grande tempo approda a una sera di Febbraio del 2024, in cui abbiamo portato i nostri amici in studio, li abbiamo fatti accomodare su un grande tappeto, e abbiamo cominciato a suonare. A qualche brano partecipa anche l’amico e riccioluto pianista, Fabrizio Mocata.
‘Disco Vivo’ è un’ossessione che ho trasformato in realtà mettendoci un sacco di tempo, paura e fatica. Per questo, vada come vada, le voglio bene: è un pezzo della mia vita. Un ringraziamento sentito va a tutti loro, agli amici e i sostenitori del progetto, a Blackcandy Produzioni e Alessandro Gallicchio per la paziente assistenza (psico)promozionale, ai babbi, le mamme e i consorti che ci sostengono, e soprattutto alle innumerevoli chat di WhatsApp: un cruccio quotidiano, che però ha reso possibile questa grande orchestra».
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