Cecilia Larosa

Cecilia Larosa: “Credo sia importante rimanere in contatto con sé stessi” – INTERVISTA

Intervista a Cecilia Larosa che pubblica “Fermati un istante

Fermati un istante” è il nuovo singolo di Cecilia Larosa, cantautrice emergente che presenta un brano dalle sonorità attuali, ma che per scrittura riporta alla musica dei migliori anni. Un brano che parla a chi si perde nelle relazioni virtuali, tra storie di instagram e stati di whatsapp. Il ritmo trascinante è scritto da un maestro della musica italiana: Piero Cassano, fondatore dei Matia Bazar. Il testo è della stessa Cecilia e di Elena Moriggia che da anni collabora col maestro Cassano. La produzione musicale è di Max Longhi. Questo brano nasce da una riflessione della cantautrice sull’intensità della vita quotidiana e sull’importanza delle connessioni umane e profonde. È un appello a valorizzare la comunicazione autentica e a prendersi il tempo necessario per capire veramente cosa desideriamo dalla vita. Il nuovo progetto, attraverso l’uso di ironia e una melodia coinvolgente, pone l’accento sull’importanza di fermarsi per riflettere e vivere consapevolmente. Sento Cecilia per farmi raccontare il modo in cui è nato questo brano e altre cose che sta scrivendo col suo straordinario gruppo di lavoro.

Ciao Cecilia, so che sei sempre impegnata tra studio al Conservatorio e in studio di registrazione, ti chiedo di, parafrasando il tuo nuovo singolo, fermarti un istante. Com’è nata la collaborazione con questi nomi importanti della discografia italiana: Piero Cassano, Max Longhi ed Elena Moriggia.

«Le cose della vita sono strane, non credo nelle coincidenze, sono credente e sono certa ci sia un disegno che fa sì che certe cose si realizzino. Stavo facendo un workshop a Modena, ero in crisi esistenziale, stavo terminando la triennale in canto Jazz, ero in crisi perché non sapevo come concretizzare questo sogno di fare la cantante. Ho sempre scritto per esigenze, non avrei immaginato di cantare le mie canzoni, non ho mai osato di sognare così in alto.

Conobbi Piero in quel contesto, ci siamo messi a parlare, non lo riconobbi subito e gli chiesi una mano, gli confidai che scrivevo e lui quasi sarcasticamente mi disse «sì, anch’io ho scritto qualcosa». Quando poi nel pomeriggio mi dissero con chi avevo parlato, avrei voluto sprofondare. Lui è stato gentilissimo, con un garbo e una grazia che contraddistinguono i grandi. In quel contesto mi sentì cantare e mi chiese dei provini. Abbiamo iniziato a conoscerci da lì, sono sempre grata a lui per la stima e per il suo aspetto umano. Da lì è cominciato un percorso dove mi ha aiutata a cercare e trovare me stessa. Credo sia importante rimanere in contatto con sé stessi. La musica è il mio veicolo, anche se avessi fatto altro, sarebbe comunque stata parte di me. È un tratto distintivo della mia persona, c’è chi usa altri strumenti come la pittura, il disegno o la matematica.»

Fermati un istante è il tuo nuovo singolo, mi piace fare delle interviste monografiche. Com’è stato realizzare questo brano? C’è un’atmosfera nuova, ma si percepisce anche una certa sartorialità nella costruzione del brano. C’è quel “tu tu turu tu ru tu…” che in qualche modo fa partire il brano da subito, com’è nata l’idea?

«”Fermati un istante” è nata circa un anno fa, è il frutto di un lavoro di ricerca, il lavoro con Piero è stato di continua elaborazione e fusione, lui ha cercato di tirar fuori da me la mia anima artistica e di lasciare anche il suo segno, per me è un momento di crescita molto importante. Questo brano in una prima stesura è nato in sala di registrazione con Edoardo Benevides Costa, in arte Reison, lui è un bravissimo produttore che fatto un sacco di roba e ha vinto come produttore diversi dischi d’oro. Ci siamo messi in studio tutti e tre, abbiamo cercato la giusta ritmica, ci abbiamo messo sopra la melodia… è stato un continuo prendere appunti.

Questa è sempre la parte che mi piace di più, sembra che non si riesca a prendere una quadra, in questo caso abbiamo cominciato dalla musica. Può darsi in altre canzoni che avvenga il contrario, scrivo il testo e trovo le sonorità a partire dalle parole, a volte capita che venga in mente prima il testo, magari scaturito da una mia esperienza personale, da una mia riflessione. La ricerca musicale è stata fondamentale, quel “tu tu turu”, può sembrare una banalità, era lì per trovare la melodia, avrebbe potuto essere sostituito da altre parole, alla fine abbiamo deciso di lasciarlo…»

Un po’ come è successo con ‘Donne’ di Zucchero. Alberto Salerno, autore del testo, racconta che quando Zucchero gli mandò la base c’era quel “du, du, du”, che poi in fase di scrittura del testo, decisero di mantenere…

«In questo caso l’obiettivo che volevamo raggiungere era di trovare una ritmica trascinante, che facesse restare il brano in testa e abbiamo pensato che quel “tu tu turu” potesse essere funzionale per lo scopo. Sono cresciuta con autori che hanno testi importanti, ma che lasciano spazio alla melodia. Ti parlo di Céline Dion, Whitney Houston, ma anche di Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Lucio Dalla, autori, artisti che amo e che continuo a studiare.»

Com’è nata la scrittura del brano?

«Come ti dicevo c’è stata una prima fase di ricerca e di scrittura. Per il testo devo dire che Elena, con la quale abbiamo dato forma al testo, è stata molto paziente, volevo a tutti i costi che si capisse l’idea della volubilità delle storie di Instagram che a volte sono usate per lanciare messaggi, per evitare di dire quello che si potrebbe comunicare direttamente. Mi piaceva la metafora delle storie di Instagram, forse siamo stati più di un’ora su questo ritornello. Ero partita con lo scrivere la prima strofa, quando lavori a quattro mani riesci a trovare la condivisione, si arriva a fare a nascere qualcosa insieme che è qualcos’altro.

Il conflitto fra quello che provi e la superficialità che riscontri nel quotidiano, per una come me che non ama le relazioni che nascono in una chat. L’emotività è come se venisse rifiutata da quel sistema, se stai male per qualcosa sei un debole, ma non è così. Poi la seconda fase è stata riregistrare tutto con Max Longhi. Per la realizzazione del pezzo lui è partito da un provino, ci ha messo la sua idea e ha trovato il giusto vestito per tutto il lavoro che c’era stato a monte. Ognuno nella vita ti deve dare qualcosa, soprattutto in un lavoro di team, alla fine l’obiettivo finale non è arrivare a San Siro, ma arrivare a qualcosa in cui chiunque si possa riconoscere, la musica per me è terapia. È questo il bello di lavorare in team.»

Mi piace chiedere agli artisti che intervisto per la prima volta qual è stato l’approccio con la musica, qual è il tuo primo ricordo da piccola?

«Ho iniziato da piccola col pianoforte, ogni volta che vedevo un pianoforte dovevo suonare, mia madre ha percepito questa mia passione innata e mi ha fatto seguire delle lezioni. Sempre in quegli anni feci Cenerentola alle elementari, in quella occasione mi hanno fatto cantare e in qualche modo in quel contesto ho scoperto, tra gli applausi e l’approvazione del pubblico e dei miei compagni, di essere intonata. Non ho mai preteso di voler fare la cantante, più che altro per insicurezza, poi ne ho preso coscienza quando avevo tredici anni. Avevo dei limiti, la mia timidezza e il blocco di salire sulle note alte, lo studio, che credo sia alla base di qualunque cosa mi ha dato consapevolezza e forza.»

Antonino Muscaglione, nasce a Palermo nel 1976. Da sempre appassionato di disegno, attento a dettagli, per altri, non rilevanti. "Less is more", avrebbe scoperto in seguito, diceva Mies Van Der Rohe. Consegue la Laurea in Architettura nella Facoltà d'Architettura della sua città. Vive in Lombardia, si divide fra progettazione architettonica e insegnamento. Denominatore comune delle sue attività è la musica, da sempre presente nella sua vita. Non può progettare senza ascoltare musica; non può insegnare senza usare la musica come strumento di aggregazione.