Intervista al gruppo giunto alla tappa del primo singolo
Polo Territoriale è il nome di un gruppo nato a Brescia nel 2019, quattro ragazzi che si sono conosciuti in un contest musicale tra le mura del Liceo Classico Arnaldo di Brescia: Filippo Farolfi, in arte Talea, è il cantante del gruppo e chitarrista; Pablo Lorenzo Almansi il basso; Luca Manzella, chitarra solista; Lorenzo Apollonio alla batteria. Oggi, dopo anni di studio e live pubblicano il loro primo singolo: “Pamela”, una canzone nata da un incontro in treno tra Filippo, cantante e chitarrista del gruppo, e una ragazza, diventata poi amica. Il brano tra l’altro è stato realizzato anche grazie al contributo del MiC Ministero della Cultura e della SIAE, all’interno del programma “Per chi crea”. Chiamo Talea, nome d’arte di Filippo, per farmi raccontare com’è nato il gruppo e qual è il loro modo di fare musica.
Ciao Filippo, come va? Ti chiedo subito da cosa nasce il nome della vostra band: Polo Territoriale.
«Ciao, tutto bene, alle prese con gli esami di maturità che sono in corso. Il nome del nostro gruppo nasce da “Polo Territoriale di neuropsichiatria infantile”, un componente del gruppo frequentava quel luogo per motivi personali, era lì, ci manda la foto della targa in cui campeggiava il nome, abbiamo subito capito che, togliendo “di neuropsichiatria infantile” era il nome giusto per la nostra band».
Effettivamente la musica ha questo potere di polarizzare… quindi ci sta tutto. Vedo che il vostro brano è stato realizzato anche grazie al contributo del Ministero della Cultura, com’è nata l’idea di partecipare a questo bando?
«Nei nostri brani trattiamo dei temi forti, sì, forse ogni tanto usiamo qualche parolaccia, ma credo sia importante il messaggio che vogliamo trasmettere. Credo siano messaggi che è giusto veicolare anche con l’ausilio dei canali istituzionali. “Per chi crea” è un incentivo a dare di più, a esprimersi in quanto giovani. Ci troviamo di fronte a una generazione che è sempre più isolata. Da un certo punto di vista siamo più connessi tramite i social, le varie piattaforme, ma è a mio avviso una connessione apparente, sono canali che spesso uniscono solo superficialmente».
Immagino, mi piace che la musica diventi un momento di aggregazione e anche di presa d’atto di queste problematiche di cui parli. Com’è nata nello specifico questa canzone? Come nascono in genere le vostre canzoni?
«La canzone ‘Pamela’ è nata molto tempo fa, sono passati cinque anni, l’ho scritta di getto quando avevo tredici anni. Avevo più volte notato la sua espansività con i passeggeri del treno, ma non mi aveva mai rivolto la parola. Un pomeriggio per qualche assurdo motivo finimmo a fumare assieme, e quei 10 minuti trascorsi con lei rievocarono ricordi che non avevo mai avuto. La familiare sensazione di nostalgia nei confronti di esperienze mai vissute, ascritta all’immediata idealizzazione della sua persona mi portarono a dedicarle una canzone. La ninfa di cui parla il testo non è mai esistita, ed il suo nome è tanto futile quanto le sue dipendenze ed il tentativo dell’interlocutore di sviarla da esse. Così si materializza ‘Pamela’, come intimo e crudo desiderio di salvare un’idea dalle proprie stesse illusioni. Così è nata Pamela. Da un incontro che mi ha portato a fare delle riflessioni, così nascono in genere le nostre canzoni, si parte intanto da una parte strumentale. Uno di noi dà l’idea di un testo e da un giro di basso ci si confronta su quale strada deve prendere la canzone, è un lavoro di gruppo che nasce con la sovrapposizione di idee».
Nel testo leggo che parli di un contrasto tra il nero e il blu… quindi ti chiedo qual è il contrasto di cui parli tra il nero e il blu?
«Una domanda che mi aspettavo da tanto e ti ringrazio per avermela posta, me l’aspettavo, ma ancora non me l’aveva fatta nessuno! Il blu e il nero sono colori che nella mia testa si fanno metafora di due modi di vivere. Sono due colori tutto sommato molto sono simili, il blu è un colore intenso, sono simili ma hanno un estrema differenza, il blu per me simboleggia la pace, è il colore che uso quando ad esempio devo studiare, devo concentrarmi. Dall’altra parte il nero è il miscuglio di tutti i colori. La mia idea era quella che voglio invitare Pamela a capire a qual è il suo modo di vivere e quello a cui vuole auspicare, uscendo dal caos, in qualche modo rappresentato dal nero, e avvicinandosi al blu che come ti dicevo in qualche modo rappresenta quell’ordine e quell’equilibrio che poi, una volta messe le cose in ordine e avendo una visione più ottimistica, non è così lontano, così come non è lontana la percezione dei due colori».
È molto interessante anche il video che avete girato all’interno di una scuola, io tra l’altro sono un insegnante, ho empatizzato con quel prof che si trova la classe in rivolta, ho immaginato fosse davvero un vostro insegnante, empatizzo anche coi ragazzi e col loro desiderio di essere ascoltati…
«Il video è stato girato nel Liceo Copernico. I luoghi sono simbolici, volevamo mantenere un generale tono leggero, ma cercare di veicolare il messaggio. Abbiamo pensato a tre ambienti: il bagno della scuola; la classe; il luna park. Il primo è un luogo che simboleggia l’interiorità che non ha sfogo in un ambiente privato. Come se fosse una parola che non riesce ad arrivare alla bocca. La classe rappresenta il luogo ufficiale, formale, quasi un luogo istituzionale in cui è giusto stare in silenzio per ascoltare la lezione. Un silenzio però in cui si è schiacciati, così come Pamela che non parla, che non chiede aiuto. Luna Park è il luogo dell’apparenza. Il caos finale che si crea è il processo secondo il quale la persona decide di esprimere il proprio disagio, le proprie idee».
Che messaggio volete trasmettere con questo brano e con questo video?
«Il messaggio che il video musicale vuole trasmettere, soprattutto ai più giovani, è quello di condividere le proprie difficoltà, ascoltare quelle che affliggono gli altri e dare la possibilità a chi è vicino di offrire supporto e aiuto. Tutti siamo alle prese con problemi e avversità, ma a volte, sforzandosi quotidianamente per non farle trasparire, ci si dimentica che sono proprio queste a renderci umani».
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